Riflettevo giusto in
questi giorni sulla fragilità dei nostri ragazzi. Lo facevo come insegnante e
come madre, cercando di capire, confrontando questa generazione con quella che
è la mia e con quella precedente dei miei genitori. E forse la risposta al
perché i ragazzi di oggi siano così fragili, rispetto a quelli di un tempo, c'è
e risiede proprio nei "tempi".
Ci sono mamme che piangono, nel ricevere dalla scuola una lettera di
convocazione per i propri figli (chi per la disciplina, chi per la didattica,
chi per entrambe), ce ne sono altre che arrivano agguerrite contro gli
insegnanti in difesa dei propri figli, perché non sono quelli che vengono
descritti nella lettera, cioè poco corretti, ce ne sono altre che si disperano
per un quattro e che pensano "Oddio, mio figlio è perduto!". Mamme,
ma ovviamente anche papà.
E penso a quando andavo a scuola io, a quando io era una bambina di quelle che
una volta si chiamavano elementari e una ragazzina delle medie o una ragazza
delle superiori. Mia madre non si è mai presentata ad un solo colloquio con le
maestre o con i professori. Qualcuno penserà che non si interessasse di me, ma
non è così. Erano tempi diversi, c'era meno coinvolgimento delle famiglie nella
scuola e questa era meno vissuta come un affare di tutta la famiglia: era
affare dello studente, punto e basta. L'insegnante aveva sempre ragione. Hai
preso 4? Si vede che te lo meritavi! Hai preso una nota disciplinare? La
prossima volta ti comporterai in modo da non
prenderla. Insomma, erano affari miei, non loro (dei miei genitori). Mia
madre è cresciuta in orfanotrofio, orfana di guerra: suo padre era stato ucciso
quando lei aveva solo tre anni e non lo aveva forse nemmeno mai visto; mia
nonna aveva quattro figli a cui badare da sola ed era senza lavoro, per cui non
aveva avuto altra scelta che di allontanare i figli più piccoli da casa. Erano
tempi molto duri, in cui si mangiava polenta quasi tutti i giorni, perché
costava poco, ma soprattutto perché riempiva tanto e non si sentivano i morsi
della fame. Erano tempi in cui si badava a sopravvivere: non c'era il
riscaldamento nelle case, ma le stufe a legna o a carbone (ricordo ancora
quella in casa di mia nonna, con la grata attraverso la quale osservavo i
tizzoni ardenti), non c'erano nemmeno i gabinetti (il bagno era una turca sul
pianerottolo, una sola per un'intera palazzina, mezza diroccata, senza luce,
senza finestra, senza carta igienica,ma con fogli di giornale su una mensola
per potersi pulire. La doccia? Nemmeno a parlarne! C'era un semplice catino in
casa, con acqua gelata che mia nonna scaldava in un pentolone sul fuoco per
potersi lavare a pezzi). Sembrano cose così lontane nel tempo, invece parlo di
nemmeno cinquant'anni fa...
I ragazzi di oggi hanno tutto, ma proprio tutto: basta chiedere ed è loro
concesso. La mia generazione chiedeva e le concessioni avvenivano con
"calma", quella di mia madre chiedeva e le concessioni non venivano
affatto. I ragazzi di oggi sono in crisi, sono depressi, non sanno che cosa
significhi l'attesa di qualcosa, hanno tutto e subito; la mia generazione
sapeva aspettare e per questo sapeva apprezzare quello che arrivava; quella di
mia madre non aspettava nemmeno e nemmeno chiedeva, tanto sapeva che non
sarebbe arrivato nulla. I ragazzi di oggi hanno una vita frenetica, agiata,
comoda, facile; ai miei tempi non c'era fretta, gli agi erano pochi, le
comodità pure e dovevi conquistarti le cose; ai tempi di mia madre la vita non
era nemmeno vita. I ragazzi di oggi hanno amore e affetto totali, ma spesso
frettolosi, perché i genitori moderni hanno sempre meno tempo da dedicare loro,
soprattutto sempre meno tempo per ascoltarli; i ragazzi dei miei tempi avevano
amore e affetto non dispensato a pillole o a tempo, ma pieno (e in questo credo
che la mia sia stata la generazione più "fortunata"); i ragazzi del
tempo di mia madre non hanno nemmeno avuto modo di percepire l'amore dei
genitori, tutti presi dalla sopravvivenza e dalla praticità quotidiana
(l'affetto e le coccole non trovavano spazio all'interno di una vita dura, alla
ricerca della pagnotta con cui sfamare le bocche dei propri figli).
I genitori di una volta erano meno protettivi e i figli di una volta erano meno
"mammoni". Ci si doveva "sbranare" da soli. Mia madre è
cresciuta imparando con la fatica e col sudore a stare in piedi con le proprie
gambe, senza appoggiarsi a nessuno (ricorda ancora come un incubo la propria infanzia
e l'adolescenza in orfanotrofio); io mi sono sempre dovuta arrangiare a scuola,
non ho mai ricevuto aiuti, nemmeno dai miei genitori, se non riuscivo a fare un
compito o a studiare qualcosa (i miei avevano solo la licenza elementare,
perché in tempo di guerra l'istruzione si fermava lì per molti), le lezioni
private costavano troppo e non erano alla portata di tutti. Eravamo meno
"viziati" e meno "protetti", ci davamo da fare per
risolvere da soli i nostri problemi sia scolastici che di relazione con gli
amici e non. Oggi è tutto diverso: noi genitori (mi ci metto anche io) siamo
troppo protettivi e tendiamo a vivere la vita dei nostri figli al posto loro.
Forse perché ci è mancato a nostra volta, forse perché avremmo voluto che i
nostri genitori ci supportassero di più o forse anche perché ci sentiamo in
colpa nei confronti dei nostri ragazzi, per il
troppo poco tempo che dedichiamo loro, tutti presi come siamo dalla vita
frenetica che conduciamo. Ecco, allora, che li accompagniamo a scuola in
macchina, a volte fin dentro il cancello e, se potessimo, persino fino in
classe (perché no?), ecco che ci facciamo carico dei loro problemi, delle loro
sconfitte, delle loro difficoltà che facciamo nostre e che viviamo al posto
loro. E' qui il problema, a parer mio: noi
genitori di oggi viviamo al posto dei nostri figli la loro vita e non gli
permettiamo di crescere e di divenire autonomi e adulti. E i ragazzi
crescono sempre più fragili e vulnerabili, non accettano le sconfitte, non sono
in grado di sopportare le frustrazioni, non sono capaci di aspettare e crollano
davanti a un voto negativo, identificando se stessi con la valutazione, anziché
capire che il voto è legato alla prestazione, non alla loro persona, non
accettano la nota, il richiamo, perché demolisce la loro autostima (fatta di
cosa?), si fanno del male fisico e psichico, adottando comportamenti devianti,
si ammalano di anoressia o di bulimia, non capiscono più il valore della vita,
nemmeno sono più in grado di cogliere quelli che sono i valori, nonostante la
scuola cerchi di insegnarglielo. Si abbattono e addirittura si sentono
distrutti se un compagno li prende in giro o li apostrofa in un certo modo, non
sanno reagire alle prese in giro, agli atti di bullismo, che esistono da
sempre, e arrivano addirittura (a volte) a pensare al suicidio. Di fronte a certe
cose, poi, i genitori intervengono dando troppo peso a ciò che magari si
sgonfierebbero da sé e la crisi dei figli aumenta.
Penso a quando ero bambina io... mi sono venuti in mente alcuni episodi di
bullismo che ho subito. Alle elementari avevo due compagni maschi che mi
perseguitavano e che mi picchiavano. Uno di loro si divertiva a spintonarmi e
farmi gli sgambetti fuori da scuola, per farmi cadere. Tornavo spesso a casa
con le ginocchia sbucciate. L'altro mi aspettava sulla scale di casa, quelle
esterne (abitavo in un condominio per arrivare al quale bisognava percorrere
una lunga scalinata in pietra) e lì, mentre rientravo con la cartella in
spalla, mi faceva cadere, spintonandomi e prendendomi poi a calci (non ho mai
capito perché). Non ho più rivisto quei miei compagni, ma ricordo ancora
perfettamente i loro nomi e cognomi. Provavo una frustrazione indicibile e
vivevo la cosa come un'ingiustizia. Non c'era nessuno a difendermi. Ne ho
parlato forse una volta sola con i miei genitori, anche perché mi vedevano
tornare a casa con le ginocchia sbucciate. "Impara a difenderti,
svegliati!" Questo era il messaggio. Avevo anche un'amica che, gelosissima
di me, non so per quale motivo, faceva di tutto per umiliarmi davanti alle
altre amiche e anche davanti alla maestra. Anche di lei ricordo bene il nome
ancora oggi, nonostante fosse straniera, con un cognome impronunciabile, e
nonostante sia tornata al suo paese, dopo le elementari e non l'abbia più
vista. Ho imparato a gestire la mia
frustrazione da sola. I ragazzi di oggi, invece no, non sono in grado di farlo,
né possono farcela, finché trovano noi che lo facciamo al posto loro.