LA GRANDE BELLEZZA
di Paolo Sorrentino
Tutti ne parlano...
Premio Oscar come miglior
film straniero.
Dopo averlo visto mi sono posta una domanda: dov'è la grande bellezza?
Premesso che non sono una
critica cinematografica, esprimo solo quello che la visione mi ha suscitato.
La prima cosa che potrei dire è depressione,
la seconda non senso.
Questo per quel che concerne i contenuti. Ho trovato, invece, molto belle le
atmosfere, le musiche, quei cori iniziali, che ritornano di tanto in tanto, e
che trasportano in una dimensione quasi spirituale, fanno pensare alla morte,
al momento del trapasso, almeno di quello che io mi immagino essere il
trapasso.
Sarà per quello che, all'inizio, il giapponese muore? Me lo chiedo ancora
adesso. Solitamente in un film, così come accade esattamente in un libro o
comunque in una storia, ogni azione/scena/evento ha un suo significato. Ho
imparato, scrivendo, che non devono esserci fili
sospesi, mai. Invece ne "La Grande Bellezza" ce n'è
qualcuno. La morte del giapponese, all'inizio, è uno di quelli. E' comunque ben
collocato, accanto all'immagine delle coriste e della solista, con quelle voci così
incisive. Belle dunque le atmosfere, belle le luci, i chiaroscuri, le ombre, il
buio dominante in molte scene.
Non amo particolarmente i film lenti. E questo è lento. Ma la sua lentezza
porta volutamente (suppongo) a spostare l'attenzione sui dialoghi e sui
monologhi. Mi è piaciuto molto il momento in cui l'attore protagonista, Toni
Servillo, elenca la nullità della vita di una delle ospiti (che si
autodefinisce una "donna con le palle") della terrazza romana, che
esalta il proprio impegno civile (e non solo). La demolisce in poche parole,
mettendola di fronte al suo fallimento. E lì ho pensato a tutte quelle persone
che, per vivere, devono credere di avere fatto qualcosa di buono, di utile, se
non per gli altri, almeno per se stesse. <<Sei una disperata come tutti
noi>>, dice Servillo. E l'abbandono della discussione e della scena da
parte di lei la dice lunga.
La disperazione nella vana ricerca di un
senso da dare alla propria esistenza, questo è il messaggio che ho colto
del film, il fingere di essere qualcuno, di contare qualcosa, per dare un senso
a se stessi. Inutile lotta, meglio la resa alla consapevolezza del non valore:
questo è quello che il protagonista incarna, scrittore "fallito", ma
soprattutto ESSERE UMANO FALLITO. Tutti i personaggi si affannano nella ricerca
del divertimento, del piacere, dello straordinario, per provare emozioni che
diano significato al proprio esistere, nell'assenza di valori. Tutto quello che
è vita viene disprezzato o non riconosciuto. I personaggi sono negativi (il
figlio della Villoresi, imprigionato in una sorta di delirio; la Ferilli, che
non ha una direzione e che, malata, muore; il mago, che deve fare sparire la
giraffa, mentre Servillo gli chiede di fare sparire anche lui, perché meglio
sparire, non esistere, che esistere così; i nobili in prestito, che proclamano
la loro rettitudine morale e intellettuale, ma poi si prestano a vestire i
panni di altri, dietro lauto compenso; Verdone che abbandona, torna al paese,
perché Roma, la grande Roma, lo ha
deluso, non gli ha dato nulla in trent'anni e oltre di vita vissuta là; la
disillusione dei giovani e non solo, storditi dalla droga; l'annullamento di
sé...).
Due figure si distaccano da tutto il resto: l'attrice anticonformista, che si
spacca la testa contro il muro, e la bambina, che deve dipingere per dare
lustro e soldi alla famiglia e non può vivere la sua dimensione (vorrebbe
giocare, fare quello che fanno i bambini "normali"). Sono entrambe
disperate, congelate in un ruolo che non le rappresenta davvero ed entrambe
crollano, l'attrice durante l'intervista, la bambina dietro le pressioni dei
genitori. Tutti gli altri, assurdi spettatori delle loro esibizioni. Solo la
Ferilli mostra un briciolo di umanità, di empatia e dice a Servillo, suo accompagnatore
alla festa in cui la bambina pittrice si esibisce come un fenomeno da baraccone:
<<Ma hai visto? La bambina piangeva!>>. Lo fa lei, forse perché
consapevole della vita, visto che la sua sta volgendo al termine.
Belle alcune immagini, belli gli interni, le statue, le ville, i giardini, la
Roma notturna, il Colosseo in sottofondo. La grande bellezza è però solo
nell'arte, non negli uomini. Roma è la grande bellezza che gli uomini non sanno
vivere e bruciano così la propria esistenza, nel non senso e nella distruzione
di se stessi.
Film dissacratore di valori anche religiosi (la suora dal guru della chirurgia
estetica, la suora e il prete al ristorante, il prete a cena che sfodera le sue
ricette, ignorato dai commensali, la suora santa che sputa sentenze di banali
verità come fossero verità assolute e mai dette), incarna un che di felliniana
reminiscenza.
Ma la domanda resta: dov'è la grande bellezza?