martedì 18 settembre 2018

Arrivederci, zio Aldo...


17/09/2018

In memoria di zio Aldo



Oggi zio Aldo ci ha lasciati. Ultimo dei fratelli Veroni, con lui se ne va non solo un affetto personale, ma anche una parte di Varese, per tutto quello che ha rappresentato per questa città. 
Quale varesino non lo conosceva, infatti? Generazioni di lettori e di studenti hanno frequentato quella che è stata la Libreria dei Fratelli Veroni.
Quante volte mi sono sentita chiedere dalle persone: <<Ma hai qualcosa a che vedere con la libreria?>>.  
E la mia risposta, sempre la stessa: <<Sì, sono la figlia di uno dei proprietari>>.    
<<Ah, la figlia del signor Aldo!>>.  
<<No, di Edmondo. Aldo è mio zio>>.  
Ah, che gran bella persona il signor Aldo! Aldo, il più conosciuto dei tre fratelli, nonché il più giovane, quello che era sempre a contatto con il pubblico, quello che potevi trovare dietro al bancone, all'ingresso della libreria, pronto a sfoderare il suo più cordiale sorriso di benvenuto ai clienti, a dispensare consigli sui libri, sulle ultime novità. Aldo, tanto stimato dai suoi dipendenti e dalla sua Varese. Lo stesso Aldo che ha lottato per la libreria, che ci è rimasto attaccato fino alla fine, finché ha potuto, con la morte nel cuore, nel vedere il frutto di una vita di sogni, speranze e sacrifici condivisi con i fratelli, venir meno con l'inevitabile chiusura. Giù la saracinesca, via l'insegna: la Fratelli Veroni aveva chiuso i battenti. 
E da allora si poteva vedere quotidianamente il signor Aldo passeggiare per le vie del centro, sfilare davanti alle vetrine di quelli che erano stati i locali dove era invecchiato insieme ai suoi fratelli, con l'amarezza dipinta in volto e chissà quale spina conficcata nel cuore, dirigersi verso la Biblioteca Comunale a leggere il giornale, avvolto, durante gli inverni freddi, nel caldo paltò di loden verde, con le mani fasciate nei guanti di pelle nera e i capelli ingrigiti che incorniciavano un volto vissuto, sempre più sofferente per quel dispiacere che non lo aveva più abbandonato. Eppure non smetteva mai di dispensare saluti e sorrisi a quelli che erano stati i suoi vecchi e affezionati clienti.
E poi... la Spagna. I fratelli ormai non c'erano più, la figlia, l'unica, si era trasferita e, allora, che cosa poteva mai trattenerlo ancora qui? E così, addio Varese, con una punta di malinconia, perché qui lasciava comunque le sue radici, qui i ricordi della giovinezza, qui i momenti spensierati, qui le fatiche, qui i ricordi.   
Ma il signor Aldo Veroni per me non è stato solo questo. Per me è stato molto di più. E' stato lo zio della mia infanzia, il fratello giovane del babbo, il fidanzato della zia Milena. Lo ricordo ancora molto giovane, prima del matrimonio. Aldo era lo zio che viveva in casa con nonna Ines, quello che vedevo quasi tutti i sabato sera, quando i miei genitori uscivano per andare a cena e al cinema o a ballare e mi lasciavano a casa della nonna. Era lo zio con cui ridere e scherzare, con cui giocare, nell'attesa che arrivasse la domenica e con quella i miei genitori che tornavano a prendermi. E zio Aldo è stato per me anche un secondo padre, dopo la morte del mio. Un padre che mi ha seguita silenzioso, ma presente, a distanza. Negli ultimi tempi, poi, da quando ho cominciato a pubblicare romanzi, è stato anche il mio fan più accanito. Sorrido commossa, pensando che ha tradotto in spagnolo il mio "Thanatos", il libro che ha segnato l'inizio, diciamo pure serio, della scrittura. Ogni volta che usciva una novità, gliela spedivo e lui attendeva con ansia di ricevere il pacchetto, per leggere le storie che inventavo, per poi mandarmi i suoi commenti. Aveva letto anche il romanzetto adolescenziale che avevo scritto a diciotto anni, dispensandomi consigli. Mi aveva incoraggiata a continuare, a non arrendermi. Era orgoglioso dei miei successi e mi diceva sempre che lo sarebbe stato anche mio padre. Negli ultimi tempi, quando io ho avuto un problema di salute, mi è stato molto vicino, pur fisicamente lontano. Ci scrivevamo spesso. Conservo i suoi messaggi gelosamente, specialmente uno, in cui mi esortava a non mollare, a stringere i denti e reagire, a lottare. Parole di conforto che avrei tanto voluto poter dire anche io a lui in questi giorni. Invece non ne ho avuto il tempo. Un ultimo Whatsapp, prima di ricevere la notizia che se n'era andato: TI VOGLIO TANTO BENE. E un cuore rosso che pulsa e che continuerà a pulsare.   
Sono sicura che Aldo Veroni non mancherà soltanto a me. La sua scomparsa lascerà un vuoto nel cuore di molte persone, di tutte quelle che gli hanno voluto bene e che sono state tante.  
Ho nel cuore la certezza di farmi portavoce dei sentimenti d'affetto di tutte quelle persone, in primis dei familiari, poi, di tutti gli ex dipendenti della ex Libreria, quella con la L maiuscola, che tanto ha rappresentato per la nostra Varese, infine di tutte le persone che lo hanno conosciuto. 
Arrivederci, zio <3.


lunedì 3 settembre 2018

IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO...


Io speriamo che me la cavo, come tutti sanno, è un libro che risale al 1990, scritto dal maestro elementare Marcello D'Orta nella forma di una raccolta di sessanta temi svolti da ragazzi di una scuola elementare della città di Arzano, Napoli.   
Ma in questo caso specifico, è un'espressione che oggi ho fatto mia, appena suonata la sveglia.    
Primo giorno di scuola per tutti i docenti della secondaria di primo di grado e il mio primo pensiero, dopo ben sei mesi di assenza dal lavoro, è stato proprio questo: ce la farò? Ansia e preoccupazione, alle spalle una notte praticamente insonne. Come resistere seduta ore durante il collegio docenti? Come resistere durante l'anno, in classe, con alunni super agitati da gestire? Sarò in grado di non ascoltare il dolore che mi tormenta ormai da mesi, per dare spazio al mio ruolo di insegnante, di educatrice, di collega? Saprò essere di nuovo quella che ero: attiva, dinamica, bionica (come mi definiva qualcuno), infaticabile, affidabile? Saprò esserlo? Ed è con questi pensieri che stamattina ho varcato il cancello della Vidoletti, zaino in spalla (già troppo pesante, seppur vuoto di libri, ma pieno di altre cose), con una certa trepidazione. 
(immagine da Internet)

Entrare nell'edificio mi ha fatta subito sentire a casa. E' stata una sensazione piacevole, mi è parso di essermi riappropriata di una parte della mia vita che mi era stata rubata da uno stupido (stupido?) incidente di percorso. Essere avvolta di nuovo dall'affetto dei colleghi che ormai, dopo anni (questo è il mio nono qui), rappresentano per me una seconda famiglia, mi ha infuso un senso di benessere, di appartenenza. Ecco, quello che mi è mancato in tutti questi lunghi mesi: sentirmi appartenere. Il profumo familiare della gomma dei pavimenti, il colore giallo delle pareti all'ingresso, il bancone del personale collaboratore, la macchinetta delle bevande calde che mi ha ricordato gli inverni passati, con le ore buche dedicate a bere tè bollente per scaldarmi, persino i servizi destinati alle docenti, quello con lo scarico difettoso... tutte queste cose mi hanno fatta sentire bene. 
Anche la voce del dirigente, che elencava i punti all'ordine del giorno, mi ha infuso benessere, un completo, totale senso di familiarità e appartenenza. 

Dolore. Dolore continuo in sottofondo. Il cuscino anatomico appoggiato dietro la schiena è servito ben poco. Devo farcela, voglio farcela, voglio tornare alla vita di prima, quella di sempre, voglio tornare a essere quella che ero. Ho già perso troppo tempo, ho buttato via mesi della mia vita. Li voglio riprendere tutti!        
Stamattina, un messaggio di augurio di buon anno scolastico dal mio ex collega Carlo, ormai in pensione, mi ha scaldato il cuore e mi ha profondamente commossa. Sono facile alle lacrime da un po' di tempo, lo ammetto, ma le ho controllate. Le parole di affetto e solidarietà da parte di tutti i colleghi, la loro disponibilità ad aiutarmi, Giusy, che questa mattina appena sveglia, mi ha scritto CONTA SU DI ME PER QUALUNQUE COSA. IO NON TI MOLLO.  Margherita che mi ha portato il borsone pesante fino alla macchina, Nico che mi ha detto: <<Ti prendo in braccio per fare le scale, se hai bisogno>>... E il preside: <<Ti farò avere delle sedie imbottite nelle tue classi, non preoccuparti>>...     
Come non sentirsi pieni di gioia e gratitudine, quando l'inizio è questo? E come non rispondere al dubbio "Io speriamo che me la cavo" in questo modo: CERTO, IO ME LA CAVERO'.

Grazie <3