Ho
letto sul blog di Anna Rita Vizzari il suo amarissimo sfogo, circa la questione
delle 24 ore settimanali, proposte per noi docenti, e non ho potuto fare a meno
di infervorarmi ancora più di quanto già non fossi.
Avevo
in mente di scrivere anch'io uno sfogo, ma Anna Rita mi ha preceduta e lo ha
fatto magistralmente, dando voce ai miei stessi pensieri.
E'
per questo che l'ho contattata, chiedendole il permesso di pubblicare il suo
articolo, come lettera aperta, nel mio blog.
Grazie, Anna Rita!
Le 24 ore settimanali: sfogo insolitamente lungo
In genere non scrivo qua articoli di opinione o perorazioni: segnalo le risorse tecnologiche in modo rapido e stop. Ma ieri ci hanno ventilato - come soluzione ai mali dell'Italia - la reificazione di un timore e voglio parlarne.
Parliamo delle ore settimanali di un insegnante della secondaria.
Attualmente, un docente della scuola secondaria fa, in classe, 18 ore.
Sottolineo: in classe.
Poi ci sono le ore degli incontri pomeridiani: consigli di classe, collegi
docenti, riunioni di dipartimento, GLH, colloqui con i genitori et
alia.
E infine c'è il lavoro sommerso effettuato a casa.
Suddetto lavoro sommerso ha
le seguenti caratteristiche:
- un ambiente della casa adibito a studio piuttosto che ad altro (che so,
camera per gli ospiti),
- un computer acquistato privatamente, senza possibilità di
scaricarlo come fanno i professionisti,
- uso di stampante, carta e inchiostro di casa,
- uso della corrente domestica,
- utilizzo della connessione domestica.
Un lavoro svolto circondati da familiari (consorti e figli) che non riescono a
capacitarsi che il loro caro ci sia e allo stesso tempo non ci sia. Come si può
lavorare nelle ore che invece dovrebbero essere dedicate alla vita privata? Ma
non è tempo libero, dico sempre ai miei cari, sono ore che per me è doveroso
dedicare alla scuola.
Per questo ho sempre detto: 18 ore settimanali (più riunioni pomeridiane)
vi sembrano poche? Bene, fatecene fare altre 20 a scuola per lavori
d'ufficio, poiché di pomeriggio noi siamo tenuti a svolgere svariati lavori a
casa:
- redazione di programmazioni e relazioni,
- predisposizione dei materiali,
- preparazione e correzione delle verifiche scritte,
- comunicazioni epistolar-telematiche con gli alunni per sempre più diffusi progetti
tecnologici particolari,
- doveroso aggiornamento contenutistico e metodologico.
Ho detto lavori d'ufficio, non di classe.
Ossia, dateci un ufficio - tecnologicamente attrezzato - a scuola.
Non basta la sala professori, quello stanzino con una decina di sedie e senza
la minima strumentazione. Intendo un ufficio ogni 3-4 professori, come avviene
per qualsiasi altro impiegato della pubblica amministrazione.
Fa comodo non darci quelle
ore, vero? Fa comodo che connessione, stampe e fotocopie le facciamo
direttamente da casa, con scontrini e bollette a nostro carico. Il mancato
riconoscimento delle ore extra dell'insegnante significa far risparmiare allo
Stato cifre insospettabili.
Tra la laurea e il concorso a cattedre ordinario ho lavorato in un ipermercato
come cassiera part-time. Facevo 24 ore settimanali, poi passate a 23 con lo
stesso stipendio (un gradito regalo). Un lavoro massacrante (provate ad avere a
che fare con clienti inferociti per cose che non dipendono da voi), tanto che
quando ci spaccavamo la schiena per caricare scatoloni dal magazzino ci
rilassavamo perché con la mente potevamo dedicarci ad altro. Era un lavoro
inadeguato per una laureata, ma tornavo a casa e staccavo totalmente.
Con la scuola questo non avviene, non si stacca mai. Uno non fa l'insegnante,
uno è insegnante. Per questo anche a distanza di decenni gli ex alunni ci
chiamano ancora "Prof.".
Come mamma insegnante posso dire che il meglio dal punto di vista
educativo lo riservo ai miei alunni, perché quando torno a casa ho bisogno del
mio angolo di silenzio (dopo ore e ore in classi sempre più numerose), per cui
con mio figlio che mi cerca perdo subito la pazienza che invece in classe
mantengo fino allo spasimo.
E ricordo che mia madre, anche lei prof. di Lettere alle "medie",
quando tornava a casa veniva assalita da noi figlie che ci sentivamo rispondere
"Lasciatemi sola, mi rintrona la testa, ho bisogno di silenzio".
Facendo 24 ore settimanali inevitabilmente si ridurrebbero il tempo e l'energia
da dedicare al lavoro sommerso (quello svolto a casa a nostre spese) per
preparare materiali, correggere verifiche e tutto quello che ho elencato sopra.
Perché, se lo Stato ci considera dei pesi morti che fanno lo stretto
indispensabile, io inizio a fare lo stretto indispensabile, a livello di tempo
domestico e anche di impiego di materiali acquistati personalmente. Questo
giova alla qualità della formazione dei ragazzi?
Parliamo anche delle 24 ore in cui abbiamo la totale responsabilità
su una trentina di minorenni, che non si possono assolutamente lasciare soli
neppure per le motivazioni più sacrosante come l'andare in bagno per un bisogno
fisiologico impellente o per cambiare il Tampax (un'insegnante
può dire "Tampax" o deve dare l'idea del robot asessuato?).
Non esistono necessità fisiologiche da assecondare: l'insegnante non può
abbandonare la classe per cose così frivole come andare alla toilette. Un tempo
si contava sui collaboratori, ma con i tagli inferti anche a quella categoria
dobbiamo imparare a trattenere all'inverosimile.
E la qualità della didattica? La personalizzazione dei percorsi?
Ah però c'è lo spauracchio della valutazione Invalsi. Dobbiamo lavorare in
funzione di quello... quindi quelle 24 ore settimanali le dedicheremo soltanto
all'addestramento Invalsi, per avere capra e cavoli?
Sono stata farraginosa e incompleta, ma dovevo sfogarmi ed esprimere il mio
punto di vista di insegnante appassionata prima di entrare a scuola. Perché
oggi, a scuola, entro alle 10, con buona pace di chi odia la mia categoria.
Pubblicato
da Anna Rita Vizzari
Grazie a te! Un abbraccio.
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