CORSO DI AGGIORNAMENTO
IL BAMBINO CON DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO
IL PROCESSO DI CRESCITA
Apre l'incontro la
dottoressa Federica Calvi, assistente sociale, la quale legge la lettera di una
madre al cui figlio viene diagnosticato l'AUTISMO.
La madre scrive che il bambino cresceva come tutti gli altri, mangiava, dormiva, era un bimbo assolutamente normale, però non comunicava, non parlava.
La madre scrive che il bambino cresceva come tutti gli altri, mangiava, dormiva, era un bimbo assolutamente normale, però non comunicava, non parlava.
Portato da uno specialista,
è arrivata la diagnosi di autismo. Quella parola si è conficcata come una lama
all'interno della famiglia.
La dottoressa Calvi spiega
il ruolo dell'assistente sociale, che è quello di comunicare alla famiglia i
servizi che il territorio offre per poter aiutare il bambino e i familiari
stessi.
Gli assistenti sociali
sollevano i genitori dal senso di colpa (capita spesso, infatti, che si sentano
responsabili) e collaborano con la scuola, forniscono informazioni corrette su
ciò che si può fare.
E' molto importante che i
genitori abbiano degli spazi da gestire per loro stessi, in quanto l'autismo di
un soggetto in famiglia coinvolge la famiglia intera.
Servono degli approcci
individuali. Per questo, l'educatore è una figura fondamentale, che aiuta
l'adattamento del soggetto autistico alla scuola ma anche all'interno della
famiglia.
La cosa più importante è
che ci sia una sinergia tra i vari operatori.
Il soggetto ha molte
difficoltà ad esprimersi e a interagire con l'ambiente.
Prima l'autismo viene
diagnosticato, prima si può intervenire.
Il dottor Claudio Merletti,
dirigente della ATI Varese, spiega come i casi di autismo siano in aumento
all'interno della scuola. Parla dell'assurdo di interconnessioni e riduzione
della comunicazione reale.
COSA SONO I DISTURBI DELLO
SPETTRO AUTISTICO? DALLA DIAGNOSI ALL'INTERVENTO.
dottoressa Laura Villa, neuropsichiatra.
La dottoressa Villa spiega
che di autismo si vive e si cresce. È un disturbo atipico, perché è neuro differente.
L'autismo è pervasivo in quanto compromette l'intera vita.
Pediatra, neuropsichiatra
infantile e psichiatra sono figure fondamentali per la diagnosi tempestiva.
L'autismo non esiste,
spiega la dottoressa: esistono gli autismi.
Si parla invece di autismo
in modo improprio, usando un unico linguaggio, mentre questo è un fenomeno
complessissimo e molto vasto.
Occorre rintracciare la
comprensione del sistema autistico. Sarebbe un passo importante per avviare
l'attività di intervento.
Il fenomeno è estremamente
complesso e ancora ignoto in gran parte.
La dottoressa Villa ci
mostra una slide riguardante il test delle tre montagne.
Le tre montagne riguardano
i tre punti di vista parziali, che ognuno di noi mette in atto di fronte al
problema. L'autismo ci impone il superamento di questo test. Quale montagna
vedo?
L'autismo è neuro diversità
e neuro differenza e non è una rarità, come si crede.
E' molto importante la
diagnosi precoce.
Altrettanto importante la
stabilità predittiva degli indicatori precoci, la valutazione dell'outcome, la
diagnosi, ecc... Infatti l'autismo si distribuisce in vari campi.
Esistono cause genetiche.
Il disturbo può essere
diagnosticato entro i primi due anni di vita.
Esistono componenti
verbali e non. Da tenere sempre presente che l'autismo è sistemico. Come
affrontarlo, dunque?
C'è un vecchio detto
africano: l'elefante si mangia a fette. Significa che è molto importante scomporre
il problema, affrontarlo e poi ricomporlo. Occorre definire i fenotipi
comportamentali, i fenotipi possibili, definire un progetto riabilitativo e la
sostenibilità del cambiamento.
La diagnosi è la descrizione
dei comportamenti osservabili. Domandiamoci secondo quali criteri osserviamo la
questione.
DSM 4 vs DSM 5,
quest'ultimo oggi più in voga, sono studi retrospettivi.
La diagnosi parte dall'alfabeto.
Definiamo una lettera come
un comportamento. Se la parola è condivisa, la diagnosi è condivisa. A = A, B = B: in questo caso possiamo condividere con il soggetto autistico e c'è comunicazione. Ma,
se io pronuncio la parola AMORE (che ha più significati anche per noi), non è
già più condivisibile fra il nostro linguaggio e quello del soggetto autistico,
dunque non c'è condivisione.
Le parole si combinano, il
contesto le interpreta.
La storia di ognuno di noi
ci fa interpretare la narrazione e può farci deviare dalla corretta
interpretazione. Come fare allora la diagnosi? Il DSM-5 è restrittivo, analizza
il disturbo della comunicazione e anche qualche altro disturbo. Ma noi di quale
apparato dobbiamo analizzare i comportamenti? Chiediamocelo, perché l'autismo
contamina anche altri apparati, ad esempio quello gastrointestinale, quelli
alimentari, i disturbi del sonno, ecc.
Non dobbiamo fare una diagnosi
fenomenica complessa soltanto di ciò che si vede, ma non di ciò che si vede nel
complesso.
Quali segni dà il bambino entro i tre anni di vita? Quali
entro i due anni? Quali entro l'anno e quali entro i 18 mesi?
Il contatto oculare e la
risposta alla chiamata sotto l'anno di vita sono due indicatori importanti ma
non determinanti.
Occorre tenere presenti le
traiettorie evolutive:
scomporre lo sviluppo del
bambino, per analizzare le tracce e definire gli elementi predittivi che poi
vanno ricomposti (il linguaggio, il movimento, il contatto visivo ecc).
Prima si arriva alla
diagnosi, più sarà facile definire gli elementi di cui sopra e quindi
intervenire tempestivamente. Se il soggetto invece cresce, diventa difficile la
scomposizione. Esiste una diversa velocità di sviluppo di progressione anche
nello sviluppo atipico.
Chiediamoci quali siano le
anomalie sensoriali. Le conosciamo? Le cerchiamo?
Eccole: costipazione,
diarrea; il soggetto non regola la sete, non regola la sazietà, dorme molto, ha
difficoltà di termoregolazione, suda per niente, ha sempre freddo.
Ci sono ipo e iper
stimolazioni, per esempio il soggetto è ipertattile, ipercettivo, ecc.
I genitori sono i primi
che si accorgono di certi segnali.
Quali indicatori precoci però
occorre cercare? La risposta è molto difficile: li individueremo sotto i 2 anni,
sotto l'anno? Bisogna porre molta attenzione fra i 12 e i 18 mesi.
Prestiamo attenzione ai
disturbi sensoriali (non solo al linguaggio), al ritardo dell'attenzione
congiunta, alle alterazioni sensoriali della visione, dell'udito, del tatto,
del gusto, a quella vestibolare, alla viscerale, alla propriocettiva. A questo
proposito si parla di Sensory Profile.
PROCESSA PER DIFFERENZE:
è autistico, perché il
soggetto autistico trova ciò che è diverso, ragiona al contrario: un bicchiere
rosso non è un bicchiere verde, una bottiglia senza tappo non è più una
bottiglia. L'autistico processa per differenze.
PROCESSA PER SIMILITUDINE:
non è autistico.
Il soggetto pensa: panettone = Natale; infradito + crema solare = vacanze; bianco rosso verde = bandiera o nazione.
Il soggetto pensa: panettone = Natale; infradito + crema solare = vacanze; bianco rosso verde = bandiera o nazione.
Le parole per l'autistico
sono OGGETTO, le parole per il non autistico sono NARRATE.
Io mi devo adattare all'autistico, non lui a me. La parola oggetto non narra, non simboleggia, non rimanda ad
altro.
Cosa insegno allora e come?
Devo insegnare prima ciò che viene prima: l'apprendimento deve essere
sequenziale dal prima al dopo.
L'autistico impara ciò che
gli si insegna in modo corretto, ma anche se gli si insegna in modo scorretto,
solo che, in questo secondo caso, impara l'errore (principio dell'iper
apprendimento: il soggetto autistico impara anche dall'errore. Sbagliando si
impara = sbagliando si impara l'errore).
Bisogna insegnare il
sorriso, il gioco persona-persona, ecc. (le relazioni).
Importanti sono
l'approccio progressivo e non riduzionista, la flessibilità, la coerenza e
l'individualizzazione.
Il fattore tempo è
determinante.
Occorre tenere presenti:
il quoziente intellettivo, il linguaggio, la compliance (disponibilità ad
accogliere gli interventi) familiare, il numero delle ore, la misurazione di
outcome (obiettivo finale).
Punto fondamentale è l'analisi funzionale del comportamento, su cui si basa la specificità del trattamento. E' determinante il ruolo dei caregivers (tutti coloro che si prendono cura del paziente). Noi siamo il contesto e dobbiamo montare le occasioni di apprendimento.
Punto fondamentale è l'analisi funzionale del comportamento, su cui si basa la specificità del trattamento. E' determinante il ruolo dei caregivers (tutti coloro che si prendono cura del paziente). Noi siamo il contesto e dobbiamo montare le occasioni di apprendimento.
Attenzione congiunta ed emozione
congiunta sono abilità che nel normotipico si presentano nei primi mesi di
vita.
Occorre chiedersi "perché?
cosa? come?" del comportamento problema.
Bisogna stimolare la motivazione,
che è la chiave dell'apprendimento.
La presa in carico è un
accordo su un progetto condiviso. Il migliore intervento è quello possibile. Le
competenze dei genitori sono fondamentali. È importante generare rinforzi di
equità più che di uguaglianza.
MITI E REALTÀ SULLO
SPETTRO AUTISTICO
dottoressa Tiziana Carigi,
neuropsichiatra ASST Sette Laghi Ospedale Del Ponte.
Ci sono molti fattori che
agiscono sull'eziologia e sullo sviluppo dell'autismo: ambiente, genetica,
biologia.
Esistono diversi miti da
sfatare legati all'autismo:
- lo scarso affetto
familiare (un tempo si parlava di madre frigorifero). I genitori si adattano al
figlio anaffettivo;
- la mutazione di un solo
gene;
- epigenetica (l'ambiente
che modifica i geni);
- un fattore soltanto
ambientale.
- se ci sono fratelli
autistici il rischio aumenta.
Da sfatare anche il mito
del mercurio e il ruolo delle vaccinazioni (già sfatato da un articolo del '98).
Un altro mito è che
l'autismo sia recente. In realtà le prime osservazioni del fenomeno risalgono
alla prima metà del Novecento.
In Italia un bambino su 77 soffre di autismo, c'è quindi un aumento e si parla di epidemia dell'autismo. Però ci sono nuovi strumenti diagnostici, ecco perché si scoprono più casi.
In Italia un bambino su 77 soffre di autismo, c'è quindi un aumento e si parla di epidemia dell'autismo. Però ci sono nuovi strumenti diagnostici, ecco perché si scoprono più casi.
Invece interazione, linguaggio, contatto oculare, quoziente intellettivo, affettività sono tutti
elementi da tenere presenti per diagnosticare il disturbo.
I bambini autistici sono
bambini isolati, generalmente senza interesse, ma altri cercano la relazione
anche quella intima. Non è vero che gli autistici non sentono e non comprendono
le emozioni dell'altro. Non è vero che non tollerano di essere toccati, non è
detto che siano violenti e, se lo sono, sono in sovraccarico sensoriale. Essi
accolgono diversamente le percezioni sensoriali.
A volte il contatto fisico
crea loro dolore, a volte, se il soggetto non parla o se qualcuno parla
velocemente, il soggetto autistico si sente aggredito.
Un altro mito da sfatare è
la disabilità intellettiva: non è vero che l'autistico è un disabile a livello
intellettivo.
Gli autistici hanno delle
abilità speciali e possono anche essere dei geni.
Non c'è un esame per
diagnosticare la patologia. È sbagliato aspettare che si manifestino altri
sintomi. La diagnosi precoce consente un intervento altrettanto precoce.
Dall'autismo non si guarisce, si può però cambiare e divenire più funzionali.
Non esiste nemmeno una cura
per l'autismo. Si possono invece indurre cambiamenti adattivi. I disturbi non
passano, ma non è detto che peggiorino. Non sempre serve il trattamento
farmacologico. Nemmeno l'amore è sufficiente per curare l'autistico. Non basta
nemmeno la sola tecnica. Bisogna invece cercare i punti di forza e quelli di
debolezza del bambino.
COSA PUÒ FARE IL SERVIZIO
PUBBLICO PER LA FAMIGLIA E PER LA SCUOLA?
dottor Giorgio Rossi
Un primo screening per
capire se il bambino può essere affetto da autismo, può essere effettuato con
la scala di valutazione AUTISM M-CHAT (Bosisio Parini, screening tool).
Esistono diverse scale
standardizzate e specifiche per la diagnosi. Sono diminuite le diagnosi di
disabilità intellettiva, mentre sono aumentate quelle di autismo.
Si possono fare indagini
di laboratorio, a volte si fa un elettroencefalogramma, che però non è decisivo,
si fa anche una risonanza magnetica, pure questa non decisiva, ci sono poi dei
farmaci.
Cosa può fare il servizio
pubblico?
Come prima cosa, deve
spiegare che non ci sono correlazioni tra autismo e vaccino.
Anzi, il bambino autistico
che non viene vaccinato, per esempio contro il morbillo, può sviluppare una panencefalite
sclerosante subacuta (PESS) che può portare addirittura alla morte.
Il servizio pubblico può
fare ricerca, può fare studio osservazionale della tipizzazione clinica.
C'è difficoltà di
connessione tra le varie zone del cervello che può determinare un'alterazione
che non fa più comunicare le varie parti tra di loro.
Il servizio pubblico può
effettuare uno studio di tutto il patrimonio genetico, far svolgere degli esami
con l'aiuto del Besta di Milano, può fare formazione.
Che cosa fa lo stato lo
Stato? Può emanare una legge, per migliorare le condizioni di vita, per
favorire l'inserimento nella vita sociale del soggetto autistico, per aiutare
la famiglia. Misura B1: erogazione di €1000, se c'è una gravità importante pari
al livello 3.
Può sviluppare modelli di
intervento per gli adulti con aiuti economici. Questo lo fa la Regione.
Il pediatra ben instradato
può fare uno screening corretto.
C'è una connessione intestino-cervello.
Pare che i bambini con disturbi gastroenterici vadano osservati con attenzione.
Bisogna stare anche molto attenti alla reattività e alle intolleranze a certi cibi.
IL PROFILO FUNZIONALE
DELL'ALUNNO CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
dottoressa Ledina Derhemi
L'inserimento nella scuola
è un momento delicato sia per il soggetto autistico, che per la famiglia, che
per il gruppo classe. Occorre l'assegnazione della figura del docente di
sostegno e dell'educatore. Entrambi devono lavorare per obiettivi comuni, così
come tutti coloro che operano per il bene del soggetto.
Nei casi più gravi, può necessitare l'inserimento del bambino autistico presso strutture specifiche.
Il docente di sostegno elabora il PEI con obiettivi a breve e a lungo termine, ma tali obiettivi possono essere rivisti e cambiati durante l'anno.
L'educatore ha un ruolo importante per l'acquisizione dell'autonomia dell'alunno autistico, per l'inserimento tra i pari, per l'adattamento nei contesti non strutturati, specialmente nel passaggio da un'attività all'altra.
L'apprendimento e l'insegnamento devono essere particolari o meglio specifici, diversamente l'alunno non apprende (sbagliando, impara l'errore).
Quello che tu mi insegni io imparo.
Come strutturare un PEI?
Lavorando per obiettivi macro, che sono:
- potenziare e affinare le competenze comunicative dell'alunno,
- insegnare gradualmente le abilità sociali per interagire con gli altri,
-migliorare le abilità di rappresentazione della realtà, ampliare la gamma degli interessi.
Obiettivi specifici sono:
- potenziamento delle singole competenze con supporto di sostegno e tempi più lunghi per l'apprendimento
- fattore tempo: stimolazione e verifica degli apprendimenti, evitare di stimolare a priori o dire "Non è in grado di fare"
- quali abilità occorre potenziare nel bambino competente (ha abilità più sviluppate di altre: quali sviluppare?).
Bisogna stabilire gli obiettivi in base ai diversi profili relazionali. Ci sono bambini inaccessibili, passivi, ma che sono in grado di interagire, oppure ci sono bambini bizzarri, attivi che non rifiutano il contatto fisico.
È meglio il rapporto uno a uno con l'adulto riconosciuto o con un compagno o un piccolo gruppo. Il rapporto con i pari invece è più difficile.
Il PEI deve tener conto della compromissione della comunicazione (la capacità di capire, di utilizzare i codici comunicativi per l'interscambio, difficoltà con le regole sociali, incapacità di padroneggiare i codici della comunicazione).
Le finalità dell'intervento sono:
- la promozione della comunicazione verbale e gestuale mimica
- gli interventi specifici e mirati da condividere con gli specialisti.
Gli obiettivi devono tenere conto dei diversi profili neuropsicologici.
Gli autistici notano differenze minime e comprendono meglio per immagini. Importanti sono le associazioni temporali e non dei concetti. Alcuni autistici hanno difficoltà visuo-spaziali e grandi capacità linguistiche. Altri hanno difficoltà di organizzare lo spazio nel foglio. Teniamo presente che alcuni peccano in abilità superiori e fanno fatica nell'elaborare concetti, nel mantenerli e nel collegarli.
C'è poi il problema dell'attesa, la frustrazione di attendere. Il bambino va quindi motivato allo studio, diversamente molto faticoso. Dobbiamo capire quali sono i suoi interessi. Mettere in atto la coordinazione motoria, comprendere il deficit attentivo e tenere presente la memoria visiva.
Nei casi più gravi, può necessitare l'inserimento del bambino autistico presso strutture specifiche.
Il docente di sostegno elabora il PEI con obiettivi a breve e a lungo termine, ma tali obiettivi possono essere rivisti e cambiati durante l'anno.
L'educatore ha un ruolo importante per l'acquisizione dell'autonomia dell'alunno autistico, per l'inserimento tra i pari, per l'adattamento nei contesti non strutturati, specialmente nel passaggio da un'attività all'altra.
L'apprendimento e l'insegnamento devono essere particolari o meglio specifici, diversamente l'alunno non apprende (sbagliando, impara l'errore).
Quello che tu mi insegni io imparo.
Come strutturare un PEI?
Lavorando per obiettivi macro, che sono:
- potenziare e affinare le competenze comunicative dell'alunno,
- insegnare gradualmente le abilità sociali per interagire con gli altri,
-migliorare le abilità di rappresentazione della realtà, ampliare la gamma degli interessi.
Obiettivi specifici sono:
- potenziamento delle singole competenze con supporto di sostegno e tempi più lunghi per l'apprendimento
- fattore tempo: stimolazione e verifica degli apprendimenti, evitare di stimolare a priori o dire "Non è in grado di fare"
- quali abilità occorre potenziare nel bambino competente (ha abilità più sviluppate di altre: quali sviluppare?).
Bisogna stabilire gli obiettivi in base ai diversi profili relazionali. Ci sono bambini inaccessibili, passivi, ma che sono in grado di interagire, oppure ci sono bambini bizzarri, attivi che non rifiutano il contatto fisico.
È meglio il rapporto uno a uno con l'adulto riconosciuto o con un compagno o un piccolo gruppo. Il rapporto con i pari invece è più difficile.
Il PEI deve tener conto della compromissione della comunicazione (la capacità di capire, di utilizzare i codici comunicativi per l'interscambio, difficoltà con le regole sociali, incapacità di padroneggiare i codici della comunicazione).
Le finalità dell'intervento sono:
- la promozione della comunicazione verbale e gestuale mimica
- gli interventi specifici e mirati da condividere con gli specialisti.
Gli obiettivi devono tenere conto dei diversi profili neuropsicologici.
Gli autistici notano differenze minime e comprendono meglio per immagini. Importanti sono le associazioni temporali e non dei concetti. Alcuni autistici hanno difficoltà visuo-spaziali e grandi capacità linguistiche. Altri hanno difficoltà di organizzare lo spazio nel foglio. Teniamo presente che alcuni peccano in abilità superiori e fanno fatica nell'elaborare concetti, nel mantenerli e nel collegarli.
C'è poi il problema dell'attesa, la frustrazione di attendere. Il bambino va quindi motivato allo studio, diversamente molto faticoso. Dobbiamo capire quali sono i suoi interessi. Mettere in atto la coordinazione motoria, comprendere il deficit attentivo e tenere presente la memoria visiva.
Gli obiettivi possono
essere stabiliti in base ai profili emozionali individuali, in base al fatto
che sia cauto/timoroso piuttosto che spericolato o disorganizzato.
I compagni di classe sono una risorsa per aiutarlo a livello sociale e didattico.
Dobbiamo basarci su attività ludiche, da svolgere durante l'intervallo, per esempio, o nella pausa mensa. L'insegnante di sostegno dovrà creare storie sociali oppure video modeling. Le storie sociali insegnano molto.
Bisogna programmare come e quando raggiungere gli obiettivi.
L'alunno deve lavorare in classe o deve lavorare fuori dalla classe?
Ci sono ambiti di lavori comuni e allora lavorerà in classe, in altri casi si può lavorare fuori dalla classe, svolgere attività guidate in classe, anche in modo autonomo, che può far svolgere l'insegnante curricolare, dopo che la docente di sostegno ha però attuato il lavoro individuale.
I compagni di classe sono una risorsa per aiutarlo a livello sociale e didattico.
Dobbiamo basarci su attività ludiche, da svolgere durante l'intervallo, per esempio, o nella pausa mensa. L'insegnante di sostegno dovrà creare storie sociali oppure video modeling. Le storie sociali insegnano molto.
Bisogna programmare come e quando raggiungere gli obiettivi.
L'alunno deve lavorare in classe o deve lavorare fuori dalla classe?
Ci sono ambiti di lavori comuni e allora lavorerà in classe, in altri casi si può lavorare fuori dalla classe, svolgere attività guidate in classe, anche in modo autonomo, che può far svolgere l'insegnante curricolare, dopo che la docente di sostegno ha però attuato il lavoro individuale.
LA GESTIONE A SCUOLA
dottoressa Laura Lunghi
Il COMPORTAMENTO
DISADATTIVO è il comportamento anormale, che mette in pericolo la sicurezza.
Il soggetto può essere aggressivo sia contro se stesso che contro gli altri, può essere fonte di disturbo, può mettere in atto aggressione verbale e/o una distruzione dell'ambiente, e mettere in atto stereotipie.
Il comportamento diventa un problema, quando la risposta comportamentale non è accettabile.
Quando, dunque, un comportamento è un problema?
Dipende ovviamente dal contesto: se un bambino urla in casa, da solo in camera sua, non è un problema; se urla in classe, è un problema; se un soggetto sfarfalla (tipico degli autistici) davanti alla TV da solo, non è un problema, se si mette a sfarfallare davanti alla televisione mentre sono presenti altre persone che vogliono seguire un programma, il suo comportamento è un problema.
È un problema a scuola, se il comportamento è pericoloso, se interferisce con l'apprendimento, se è di ostacolo alla socializzazione.
Il soggetto può essere aggressivo sia contro se stesso che contro gli altri, può essere fonte di disturbo, può mettere in atto aggressione verbale e/o una distruzione dell'ambiente, e mettere in atto stereotipie.
Il comportamento diventa un problema, quando la risposta comportamentale non è accettabile.
Quando, dunque, un comportamento è un problema?
Dipende ovviamente dal contesto: se un bambino urla in casa, da solo in camera sua, non è un problema; se urla in classe, è un problema; se un soggetto sfarfalla (tipico degli autistici) davanti alla TV da solo, non è un problema, se si mette a sfarfallare davanti alla televisione mentre sono presenti altre persone che vogliono seguire un programma, il suo comportamento è un problema.
È un problema a scuola, se il comportamento è pericoloso, se interferisce con l'apprendimento, se è di ostacolo alla socializzazione.
E' importante tenere
presente anche la topografia, cioè la forma del comportamento, la funzione,
ossia perché lo fa?
Occorre descrivere sempre quello che il soggetto fa e non quello che il soggetto è, ad esempio non devo dire "L'alunno è aggressivo", dirò "L'alunno sferra pugni sul banco".
Il comportamento problematico gli consente di ottenere quello che vuole. Allora dobbiamo adottare noi un comportamento sostitutivo.
Piange, urla e scappa, quando non vuole fare i compiti? Piange, urla, scappa, perché invece è stanco di farli?
Ci sono eventi setting: mancanza di sonno, nascita di un fratellino, trasloco, problema familiare ecc., quindi va sempre analizzato il contesto nel quale si svolge il comportamento problematico.
Il comportamento è utile allo studente autistico perché dà accesso a dei rinforzi, è una via di fuga, una modalità comunicativa.
Le funzioni del comportamento problematico sono:
- accesso a oggetti concreti
- evitamento e fuga del compito
- ottenimento dell'attenzione
- stereotipie.
Occorre descrivere sempre quello che il soggetto fa e non quello che il soggetto è, ad esempio non devo dire "L'alunno è aggressivo", dirò "L'alunno sferra pugni sul banco".
Il comportamento problematico gli consente di ottenere quello che vuole. Allora dobbiamo adottare noi un comportamento sostitutivo.
Piange, urla e scappa, quando non vuole fare i compiti? Piange, urla, scappa, perché invece è stanco di farli?
Ci sono eventi setting: mancanza di sonno, nascita di un fratellino, trasloco, problema familiare ecc., quindi va sempre analizzato il contesto nel quale si svolge il comportamento problematico.
Il comportamento è utile allo studente autistico perché dà accesso a dei rinforzi, è una via di fuga, una modalità comunicativa.
Le funzioni del comportamento problematico sono:
- accesso a oggetti concreti
- evitamento e fuga del compito
- ottenimento dell'attenzione
- stereotipie.
Per capire quale di questi
comportamenti il soggetto autistico mette in atto, noi dobbiamo fare una
raccolta di dati.
Lo possiamo fare tramite tabelle, lo possiamo fare come genitori, come educatori, come insegnanti. Mettendo insieme i risultati delle tabelle, riusciremo a capire quale funzione del comportamento adotta il bambino e quali strategie dobbiamo quindi adottare noi.
Esistono strumenti di raccolta dati, appunto, come tabelle con frequenza, c'è la presa dati ABC che è schematica e riguarda: comportamento, data, ora d'inizio del comportamento problematico, ora di fine dello stesso.
Quando un comportamento è dovuto a un rinforzo tangibile, ci dobbiamo chiedere che cosa gli piace.
Dobbiamo insegnare:
- forme di comunicazione funzionale
- attesa
- fargli accettare il NO: non potrai avere questo, ma potrai avere quest'altro.
Quando il comportamento è dovuto al mantenimento dell'attenzione, invece, dobbiamo:
- insegnargli a richiedere l'attenzione in modo adeguato,
- prestare attenzione a quando non emette il comportamento problematico (dare attenzione al comportamento adeguato: fare il contrario)
- insegnare abilità di gioco indipendente e auto intrattenimento, cioè insegnare a fare da solo.
Lo possiamo fare tramite tabelle, lo possiamo fare come genitori, come educatori, come insegnanti. Mettendo insieme i risultati delle tabelle, riusciremo a capire quale funzione del comportamento adotta il bambino e quali strategie dobbiamo quindi adottare noi.
Esistono strumenti di raccolta dati, appunto, come tabelle con frequenza, c'è la presa dati ABC che è schematica e riguarda: comportamento, data, ora d'inizio del comportamento problematico, ora di fine dello stesso.
Quando un comportamento è dovuto a un rinforzo tangibile, ci dobbiamo chiedere che cosa gli piace.
Dobbiamo insegnare:
- forme di comunicazione funzionale
- attesa
- fargli accettare il NO: non potrai avere questo, ma potrai avere quest'altro.
Quando il comportamento è dovuto al mantenimento dell'attenzione, invece, dobbiamo:
- insegnargli a richiedere l'attenzione in modo adeguato,
- prestare attenzione a quando non emette il comportamento problematico (dare attenzione al comportamento adeguato: fare il contrario)
- insegnare abilità di gioco indipendente e auto intrattenimento, cioè insegnare a fare da solo.
Quando il comportamento
invece è un comportamento fuga dobbiamo:
- valutare le preferenze
- fornire accesso al
rinforzo e gradualmente sfumarlo
- fornire la possibilità
di scelta
- insegnare a richiedere una
pausa (può interrompere adeguatamente il compito).
Quando invece il comportamento
è stereotipo, dobbiamo:
- trovare sostituto
sensoriale accettabile
- dare accesso al
comportamento autostimolatorio, dopo altre risposte adeguate
- insegnare abilità di
gioco indipendente
- bloccare il
comportamento
- attuare procedure
specifiche (RIRD).
Bisogna sempre stare
attenti alla parte etica: non dobbiamo eliminare le stereotipie, perché fanno
parte dell'autistico, però possiamo ridurle.
Ci sono strategie, per
evitare il comportamento problema:
- utilizzare un linguaggio
positivo (per esempio dirgli cosa deve fare, non cosa non deve fare. Ad esempio,
non posso dirgli nell'intervallo: <<Non devi correre>>, ma gli dirò:
<<Devi camminare>>).
- anticipare quello che
succederà
- diminuire, minimizzare
le istruzioni
- usare un linguaggio
semplice
- insegnargli che può fare
giusto con degli aiuti e non insegnargli che sbagliando s'impara
- non bisogna dargli i
compiti lunghi
- dobbiamo variare i
compiti
- dobbiamo alternare
compiti facili a compiti difficili
- evitare di farlo stare
seduto a lungo.
PROGETTO DI VITA PIANO DI
INCLUSIONE
dottor Luigi Macchi
Cosa può fare la scuola? Può
formare l'unità della persona.
Il mondo del lavoro deve
offrire la propria partecipazione sociale attiva.
L'inclusione a scuola
avviene se siamo capaci di fare azioni inclusive. Occorre stendere un progetto
di vita che parta dalla scuola dell'infanzia. E' importante fare orientamento
bene.
Perché i soggetti autistici si iscrivono tutti negli istituti tecnici o al CFP e nessuno al liceo? Occorre dare significato alle attività del processo educativo, condividerle con la famiglia e con le istituzioni.
Perché i soggetti autistici si iscrivono tutti negli istituti tecnici o al CFP e nessuno al liceo? Occorre dare significato alle attività del processo educativo, condividerle con la famiglia e con le istituzioni.
Sono importanti le
relazioni, le competenze, l'autonomia, la gestione delle frustrazioni e delle
emozioni, lo sviluppo delle competenze, tenendo conto della gravità del
problema.
La scuola deve raccontare
sempre la verità alla famiglia, non deve illuderla.
Sono importanti
un'alleanza strategica e il rispetto reciproco scuola famiglia, come pure
fondamentale è l'alternanza scuola lavoro. Occorre rendere pratico
l'orientamento mirato nel mondo del lavoro.
PONTE SCUOLA-LAVORO
dottor Marino Bottà
Non ci sono professioni inaccessibili
ai diversamente abili.
Dobbiamo orientare al
lavoro, dobbiamo creare supporto alle famiglie, dobbiamo creare contenitori di
formazione al lavoro, all'orientamento per i diversamente abili, dobbiamo creare un
servizio di supporto alle esperienze scuola lavoro.
Occorre creare sul
territorio un servizio composto da psicologi, pedagogisti, direttori
scientifici, Mercato del Lavoro in grado di coinvolgere:
il diversamente abile, la famiglia,
i docenti, il collocamento.
Occorre evitare lunghi
periodi di inattività (la fase cosiddetta del divano, in cui l'autistico
dimentica tutto quello che ha appreso a scuola e cade in depressione, per poi
dover tornare in cura da psicologi).
Il collocamento dei
diversamente abili avviene dopo un'accurata documentazione che viene presentata, dopodiché
si effettua l'iscrizione, quindi l'inserimento nel mondo del lavoro.
Bisogna capire se il soggetto è da cooperativa o da azienda.
La scuola deve formare al lavoro. Il soggetto autistico potrebbe necessitare di essere inserito in un contenitore formativo alternativo alla scuola per 8/9 mesi.
Bisogna capire se il soggetto è da cooperativa o da azienda.
La scuola deve formare al lavoro. Il soggetto autistico potrebbe necessitare di essere inserito in un contenitore formativo alternativo alla scuola per 8/9 mesi.
Non devono esserci dei
vuoti tra la scuola e il lavoro.
L'AUTISMO I BISOGNI DELLE
FAMIGLIE
dottoressa Priscilla Pasino
Il livello di stress è
altissimo all'interno della famiglia con un soggetto autistico.
Ci sono problemi economici
e sociali notevoli. Ci sono: fatica quotidiana, isolamento sociale per tutta la
famiglia, perché è più facile gestire il soggetto autistico a casa che in
pubblico.
Ricordiamoci che dall'autismo
non si guarisce e si ha bisogno di interventi psichiatrici ed educativi.
Occorre stendere un progetto di vita, per aiutare autistico e la sua famiglia e tenere presente che l'autismo è una disabilità grave.
Occorre stendere un progetto di vita, per aiutare autistico e la sua famiglia e tenere presente che l'autismo è una disabilità grave.
Dall'ottobre del 2011 esistono
le Linee Guida.
In coda, <<Mica scemo>>, il primo spot che racconta l'autismo (tratto da lagazzettadelmezzogiorno.it)
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