domenica 29 dicembre 2019

ROSE BIANCHE SULL'ACQUA, Erica Gibogini, Morellini Editore


Laura è una giovane donna di Milano che riceve in regalo dalle amiche una breve vacanza sul lago d'Orta. Qui, al prestigioso hotel Villa Crespi, fa la conoscenza di Alice, prossima alle nozze che verranno celebrate proprio nella hall dell'albergo.     
Alice ha raggiunto la località con qualche giorno di anticipo insieme alla madre e alla zia, per preparare con calma tutti i dettagli della cerimonia.  
Tra Laura e la futura sposa nasce subito un'intesa che porta entrambe a confidarsi sulla propria vita privata. Ognuna, però, mentirà all'altra (una piccola bugia, quella di Laura, una importante, quella di Alice, che sarà alla base dell'intera vicenda).     
Se a Orta si celebrerà un matrimonio, sull'isola di San Giulio, che svetta in mezzo al lago, avvolta nella nebbia d'autunno, si vocifera che se ne celebrerà un altro in gran segreto, al quale parteciperanno solo gli sposi e i testimoni, così rivela Graziella, la wedding planner, alla signora Rosa che gestisce il bar della piazza di Orta, frequentato dai numerosi personaggi che faranno da cornice alla storia. Ma né l'uno né l'altro matrimonio avranno mai luogo.
Alice verrà trovata morta nelle acque del lago (incidente? suicidio? omicidio?), mentre dell'altra sposa, quella dell'isola, non c'è traccia (si è visto solo lo sposo, l'unico ad avere tenuto i contatti con la wedding planner).      
Nel piccolo paese di provincia, misteriosamente avvolto in una nebbia insistente che pare non volersi dissipare, quasi a nascondere i segreti che gli abitanti (e non solo) celano, si svolgono le indagini del commissario Verano di Omegna e dei suoi collaboratori. Laura si troverà coinvolta suo malgrado nella vicenda e non potrà abbandonare Orta per diversi giorni.      
La narrazione scorre lineare, con pochi intrecci, incentrata attorno a pochi personaggi - le due ragazze, Luigi (il giovane che Laura incontra in barca e che fa di tutto per sedurla), Maria e Osvaldo (colui che scopre il cadavere di Alice nella darsena di fronte a casa), Alessio col suo cane, i ragazzi (in realtà gli anziani) del paese, Giulio (il figlio del ristoratore presso il cui ristorante cenano le due protagoniste la sera stessa della scomparsa di Alice), la signora Rosa del bar, Graziella, il commissario Verano, tutti ben caratterizzati dall'autrice.
Per gran parte della storia sembra quasi di trovarsi di fronte a un romanzo dalle tinte rosa, molto fresco e spensierato, tanto da sembrare scritto da un'adolescente (e questo denota la bravura dell'autrice, capace di immedesimarsi nella psicologia delle due giovani protagoniste, figure che rende molto credibili nella loro freschezza), anche se aleggia il sentore della tragedia che incombe; poi, all'improvviso, gli eventi precipitano in un vortice che trascina il lettore verso il finale con continui ribaltamenti di quella che sembra una verità trovata, ma che si rivela invece una menzogna, dove niente è come appare.   
Un giallo ben scritto, che si legge tutto d'un fiato. Ambientazione indovinata, quella della località lacustre, molto suggestiva, dove la Gibogini conduce il lettore per mano alla scoperta delle vie, dei negozietti di souvenir, degli hotel, della chiesa, del cimitero e dell'isola che fa da sfondo al paesaggio, alla ricerca della verità.


martedì 17 dicembre 2019

RECENSIONE DI "THANATOS, PULSIONE DI MORTE" A CURA DI RINO CASAZZA

Un sentito grazie a Rino Casazza di Fronte del Blog per la splendida recensione al mio thriller "THANATOS, PULSIONE DI MORTE", cui segue un'interessante intervista sui serial killer.




Per leggere cliccare qui

domenica 1 dicembre 2019

PREMIO LETTERARIO "FABRIZIO CANCIANI" 2019, 4^ EDIZIONE

alcuni finalisti, il Presidente del Circolo della Trama, Maurizio Gilardi, una giurata e, a destra, il Vice Sindaco di Pogliano Milanese, Massimiliano Irmici

Onorata di essere arrivata seconda con il racconto MAL COMUNE a questo prestigioso PREMIO LETTERARIO, in onore di un grande personaggio prematuramente scomparso.


la stretta di mano con il Presidente della Giuria, Corrado Coccia.
Sullo sfondo, il Presidente del Circolo della Trama, Maurizio Gilardi
la motivazione


sabato 21 settembre 2019

Vani d'ombra


VANI D'OMBRA, Simone Innocenti
di Laura Veroni

La copertina del libro e l'autore, Simone Innocenti (immagine dal web)

A Michele Maestri piace guardare.    
Michele ha solo tredici anni all'inizio del romanzo. Tredici anni e giornate vuote da riempire osservando la vita che scorre attorno a lui. E' così che con il suo binocolo guarda, spia. E spia soprattutto una donna, una colf che Michele scopre avere una doppia vita. Riceve in casa uomini sempre diversi.    
A Michele piace guardare. Ma un giorno la colf scopre la passione proibita del ragazzino e lo trascina in casa, lo nasconde in un armadio e lo costringe a guardare da vicino, attraverso le fessure, lo costringe a sentire mugolii di piacere, parole sconce, rumore di mani che schiaffeggiano la carne. E, questa volta, Michele conosce l'uomo con cui la colf sta avendo un rapporto sessuale molto spinto.        
Michele, rinchiuso nell'angusto spazio dell'armadio, non vorrebbe sentire, non vorrebbe vedere. Si porta le mani alle orecchie, ma i gemiti sono sempre più forti, sempre più animaleschi, fino all'esplosione del piacere.        
E' quello il sesso? E' così che si "ama" una donna?       
Michele è profondamente turbato, la sua innocenza è stata violata. Ma il peggio deve ancora venire.       
Quando l'uomo se ne va, soddisfatto della propria prestazione, la colf fa uscire il ragazzo dall'armadio e abusa di lui.     
Sesso, colpa, peccato, perversione, punizione: tutte queste impressioni si radicano nel giovane Michele che diventerà un uomo la cui esistenza sarà segnata da un'errata concezione del sesso e dell'amore, ma che non potrà fare a meno di continuare a guardare il mondo, a fare dello sguardo il fulcro della propria esistenza.        
Non per niente, Michele Maestri approderà al mestiere di occhialaio per ricchi, un fabbricatore di occhiali di lusso, per consentire ai facoltosi di guardare la realtà attraverso lenti, ma soprattutto montature, di eccellenza.        
Michele a trentasette anni è un uomo imperfetto, che non ha ancora conosciuto l'amore. Fino a che non incontra lei: Arianna.
Arianna, modella di nudo, donna disinibita, lo avvicina, riesce a fare breccia nei suoi turbamenti, nei traumi legati a quel lontano giorno, e porta a galla un Michele fino a quel momento sconosciuto anche a lui stesso. Ed è lì che nasce il gioco perverso della coppia che si "sdoppia": Arianna diventa Linda, Michele, timido e inibito, si trasforma in un Michele che fa del sesso un'ossessione, una necessità che chiede prepotentemente di essere soddisfatta nei modi più perversi.     
Con Arianna scopre l'amore, con Linda il sesso puro, quello che dà piacere.        
Il rapporto travolge i due amanti in un gioco sempre più spinto, nel quale Michele Maestri sembra "guarire" dal trauma infantile. E' felice con la sua donna. Fino al momento in cui Arianna/Linda commetterà un errore fatale...
Simone Innocenti, fiorentino classe 1974, giornalista di cronaca nera presso il Corriere Fiorentino, dà vita a un romanzo che scava nell'animo umano fino a farne emergere le brutture, gli aspetti che vorremmo tenere nascosti di noi stessi, che non vorremmo mai rivelare agli altri.   
Uno stile molto ricercato nella prima parte è seguito da un linguaggio volutamente basso e volgare, fatto di termini "forti", in sintonia perfetta con quella che è la trasformazione del protagonista nell'uomo che ha tenuto soffocato dentro di sé per troppo tempo.  
In un mondo in cui sempre più donne sono vittime di uomini brutali, colpisce la scelta dell'autore di narrare una vicenda improntata su una violenza sessuale compiuta da una donna su un ragazzo, ma ancor più colpisce, all'interno della storia, la bravura dello scrittore nel portare alla luce il trauma, il dramma, il disagio psicologico del protagonista, lo sdoppiamento della sua personalità che emerge tra le pagine nella scelta azzeccata di passare dalla narrazione di sé ora in prima ora in terza persona.
Si potrebbe definire il romanzo un viaggio nell'abisso dell'io, alla scoperta del proprio Sé in cerca della guarigione. Ma sarà vera guarigione?          
Non resta che leggerlo per scoprirlo.   



INTERVISTA ALL'AUTORE
d: Come nasce l'idea di questa romanzo?
r: Questo libro nasce per caso. Precisamente tre anni fa. Nella testa mi ronza una domanda iniziale. La trascrivo su carta. Poi cominciano ad arrivarmi, sempre nella mia testa, immagini legate al bianco e al sesso: le trascrivo su taccuini, ne riempio pagine. Infine in tre estati fa mi metto a scrivere partendo dalla domanda iniziale. Alla fine nasce Vani d’ombra.      


d: C'è qualche riferimento a fatti reali?
r: Che io sappia no.  

d: Michele Maestri è un personaggio di fantasia?
r: Michele Maestri non è un personaggio, è una voce. Una voce che racconta la sua storia. La sua storia sono le sue parole e viceversa. Maestri è una confessione.

d: Ti sei immedesimato nel personaggio mentre scrivevi la storia?
r: Non so bene. La stesura è stata breve: 9 giorni in tutto, 12 ore al giorno di lavoro. Nove giorni in cui non ho fatto altro, in cui non ho sentito altro che la voce di Michele Maestri.

d: Come immagini possano "sentire" il trauma di Michele i lettori?
r: La lettura è lo sport più estremo perché il più solitario. Estremo e solitario, ritengo, sia anche Maestri. Estremo e solitario credo siano i sentimenti che suscitano la lettura.

d: Pensi che gli uomini si approccino alla lettura del tuo libro con occhio diverso rispetto alle donne?
r: Le donne, se sono donne, hanno una sensibilità ancestrale che noi uomini difficilmente abbiamo. Nel dna del maschio ci sono altre “dotazioni”. Questo è un livello di lettura che riguarda il corredo genetico della specie. Quanto al singolo: dipende cosa ha letto nella sua vita e cosa ha vissuto nella sua vita, o ha immaginato. Questo è un altro grado di lettura. Ce ne sono tantissimi.

d: Nelle tue indagini di cronista di nera ti sei mai imbattuto in episodi di violenza legata al sesso?
r: Faccio prima a ricordare i casi in cui non mi sono imbattuto. Il sesso è una guerra anche nell’atto stesso dell’accoppiamento, se uno ci pensa bene. Figurarsi quando al sesso si legano episodi di violenza...

d: Quale personaggio ti piace di più di questa tua narrazione e perché?
r: Il signore anziano che insegna a Michele Maestri come si fanno gli occhiali perché è un rompicoglioni. E a me i rompicoglioni piacciono.

d: Quanto reputi importante il sesso nella vita di un uomo?
r: Freud direbbe che è tutto. Nella religione cattolica il sesso - a livello religioso - viene indicato come astinenza per chi decide di percorrere il cammino di Dio. Negarlo significa affermalo, in qualche modo. O coniugarlo in altro modo, con altri mezzi e forme. Sarebbe un discorso lunghissimo.


d: Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai già in cantiere un nuovo romanzo? 
r: Presentare il libro, se me lo chiedono. Quanto ai progetti: sto mettendo mano a una idea. Ci vorrà tempo.  

giovedì 5 settembre 2019

La logica del burattinaio


LA LOGICA DEL BURATTINAIO
Recensione di Laura Veroni
Titolo intrigante, copertina che cattura l'attenzione, sin dalle prime pagine, la storia si rivela interessante. Tutta la narrazione ruota attorno alla vicenda del "mostro di Sarzana".   
Incuriosita, avvio la ricerca in Internet, per scoprire di chi si tratti, e leggo che negli anni Trenta un giovane
di soli quattordici anni uccise a colpi di pistola il rettore e, nella fuga, il guardiano della scuola che frequentava. Il rinvenimento di altri due cadaveri, avvenuto nell'agosto del 1938, riaprì nuovamente le indagini sull'assassino, che fu individuato dopo che ebbe commesso il suo quinto omicidio ai danni del guardiano dell'ufficio del registro, di cui il padre era direttore. Il mostro si chiamava William Vizzardelli.
Ne "La logica del burattinaio" gli autori, Rino Casazza e Daniele Cambiaso, intrecciano cronaca e fantasia, mettendo in scena uno studiato parallelismo tra William Vizzardelli e Massimiliano Colasanti, il criminale che, settant'anni dopo, intende emulare il baby killer, ripetendone alla perfezione il modus operandi.
Dopo un efferato pluriomicidio, durante il quale l'assassino si confonde con la folla dei curiosi accorsi sul luogo del delitto, come uno "spettatore" qualunque, la narrazione procede all'insegna della caccia al killer, condotta sulla base di accurate indagini svolte dalla polizia.         
E' qui che ci si imbatte in personaggi ben tratteggiati dagli autori, tra cui la coppia di poliziotti, padre e figlio Romei, il magistrato Mignemi, Crisafulli, l'ex questore Berrichillo, vittima del mostro scampata alla morte, ma rimasto leso alle corde vocali, e della sorella Maria, interprete del linguaggio dei segni, che funge da tramite tra il fratello e la squadra investigativa. Molto ben costruita anche la figura dello psichiatra Graziani.
Le indagini si svolgono tra La Spezia, Sarzana e Follonica, sulle tracce del pericoloso killer che, camuffandosi, sfida gli investigatori in un gioco adrenalinico.
Ma chi è il burattinaio, colui che muove i fili, spingendo il nuovo mostro a compiere i delitti?  
Ben riuscita, a questo proposito, la tecnica narrativa dei due autori che, nel momento in cui Colasanti entra in scena con i suoi pensieri e le sue congetture, produce un cambiamento di stile, mettendo bene in mostra la problematicità di una personalità malata (soggetto DDI), succube di una "voce" che lo comanda, indicandogli come comportarsi. Le parole del burattinaio sembrano risuonare nella mente del burattino Colasanti, mentre leggiamo il corsivo che le caratterizza.
Il ritmo del giallo è serrato dall'inizio alla fine, caratterizzato da dialoghi incisivi, diretti, un botta e risposta tra i vari personaggi che finisce col travolge il lettore, tenendolo agganciato alle pagine fino al colpo di scena finale.


INTERVISTA AGLI AUTORI
·         Come si scrive "a quattro mani"?
Cambiaso: Per scrivere a quattro mani occorre in primis avere una buona intesa e il desiderio forte di condividere un’avventura letteraria. Poi, giovano alcuni accorgimenti tecnici, e ogni coppia di autori credo abbia i propri. Nel nostro caso, ad esempio, è fondamentale il “bicameralismo perfetto”, come lo chiama Rino: ogni porzione di testo, scritta da uno dei due, viene rivista, ampliata, corretta, risistemata dall’altro, anche in più passaggi, fino a giungere a una versione approvata da entrambi che, a questo punto, somma in sé e mescola le caratteristiche dei due autori. È anche un ottimo metodo per amalgamare lo stile. Ovviamente, occorre avere fiducia nei suggerimenti del socio e si torna all’inizio, la buona intesa, a prova di discussioni...
Casazza: Vengo da una positiva esperienza, alcuni anni fa, di scrittura a due con un’amica scrittrice, Fiorella Borin, limitata però ad alcuni racconti. Con Daniele il discorso è ben diverso: ridendo e scherzando, abbiamo pubblicato insieme quattro romanzi (e un racconto, per la precisione) per un totale di più di un milione e mezzo di caratteri!!! Siamo sempre andati d’accordo.

·         Chi di voi due ha avuto l'idea di scrivere un "giallo storico"?
Cambiaso: Per quanto mi riguarda, il “giallo storico” appartiene profondamente al mio DNA, anche come lettore. Il mio primo romanzo è stato un giallo storico ambientato nel 1931, “Ombre sul Rex”, con Rino ho poi scritto un romanzo interamente ambientato nella Genova della Seconda guerra mondiale, “Nora, una donna”, e lo stesso romanzo per ragazzi scritto insieme, “Lara e il diario nascosto”, contiene elementi storici. Rino è più poliedrico come spettro di scrittura, però credo sia una passione comune, per cui è stata una scelta condivisa di buon grado.
Casazza: Daniele è un grande appassionato di giallo, e più in generale di narrativa a sfondo storico, con particolare riguardo agli anni Trenta e Quaranta del '900. Prima di incontrarci io avevo scritto alcuni “apocrifi”, ambientati nei primi anni del '900, che vedevano come protagonista Auguste Dupin, l’investigatore creato da Allan Poe. Ci siamo conosciuti su Messenger. Lui mi ha contattato dopo aver letto alcuni miei post in rete sui delitti del Mostro di Sarzana, vicenda di suo interesse perché svoltasi dal '37 al '39. Io avevo da tempo in mente il progetto per un romanzo basato su un “copycat” contemporaneo di William Vizzardelli, appunto il Mostro di Sarzana, così gli ho proposto di scriverlo insieme. Lui ha detto di sì, semplicemente, e l’avventura è iniziata e proseguita sempre in modo sorprendentemente liscio.

·         Perché proprio il mostro di Sarzana?
Cambiaso: Credo che su questo Rino, che è sarzanese, abbia da offrire un’ampia e articolata risposta. Per quanto mi riguarda, Vizzardelli rappresenta un personaggio di grande interesse perché in piena epoca fascista, vale a dire nell’età mitica delle “porte aperte”, un ragazzino è stato in grado di tenere in scacco le forze di polizia realizzando crimini di straordinaria ferocia. Interesse storico, dunque, ma anche sociologico.
Casazza: Sono nato a Sarzana, e quella storia la conosco bene. Daniele, come già detto, è un appassionato di crimini avvenuti in epoca fascista.

·         Che professione svolgete nella vita?
Cambiaso: Sono docente di materie letterarie nella scuola secondaria di primo grado. Detta così, suona altisonante... insomma, insegno Lettere alle medie, va meglio? Da quindici anni svolgo la mia professione in una scuola dell’entroterra ligure, in Valpolcevera, dove ormai mi sento veramente a casa. È un lavoro faticoso, stimolante, appagante al tempo stesso. Da ragazzo sognavo di fare il cronista di nera, adesso non cambierei il mio lavoro per nulla al mondo. Per il versante “crime”, ci sono sempre i romanzi, no?
Casazza: Mi occupo di organizzazione del personale al Teatro alla Scala.

·         Che valenza ha per voi la scrittura? È una passione condivisa oppure un secondo lavoro?
Cambiaso: Per me è passione, sfogo, opportunità di conoscere e di crescere. Non potrei mai viverla come un lavoro tout court, anche se è vero che contiene degli aspetti diciamo così “professionali” di cui bisogna tenere conto e con cui occorre misurarsi. Non sempre questi aspetti sono facili da gestire, però resta il fascino di un’attività che, per me, resta sinonimo di libertà.
Casazza: Di lavoro, per la scrittura, non parlerei mai, secondo la nota opinione di Stephen King. Passione condivisa mi sembra un’ottima definizione.

·         Come è nata la vostra collaborazione?
Cambiaso: La nostra collaborazione è nata proprio in relazione al caso Vizzardelli. Avevo letto sul web una vecchia intervista di Rino, che all’epoca conoscevo solo di nome come autore, in cui parlava di un romanzo sul mostro di Sarzana al quale stava lavorando. C’era anche un indirizzo e-mail, l’ho contattato per sapere se nel frattempo quel romanzo avesse visto la luce, perché l’avrei letto con interesse. Il libro era ancora in lavorazione, a quel punto ne è nato uno scambio di mail dal quale poi è scaturita la proposta di collaborazione per concluderlo insieme. Mi è sembrata un’idea molto stimolante ed è nato così “La logica del burattinaio”. C’è da aggiungere che abbiamo scritto quasi due romanzi senza incontrarci di persona, comunicando sempre via mail, chat o telefono. Molti amici miei sostenevano che Rino non esistesse e la stessa cosa facevano gli amici di Rino, tra i quali il compianto Andrea G. Pinketts, che in una divertentissima presentazione, alla quale purtroppo non avevo potuto partecipare, mi ha trattato da “fantasma” per tutta la serata.
Casazza: A questa domanda ho già risposto, ma mi piace aggiungere che la nostra collaborazione è frutto di una felice coincidenza astrale. Come tutte le grandi amicizie.

·         Come procedete, quando stendete la storia? Vi dedicate a parti distinte o i vostri libri nascono da un lavoro in simbiosi?
Cambiaso: In genere ragioniamo sull’idea centrale, i personaggi, gli snodi narrativi principali, lasciandoci anche libertà, però, di modificare in corso d’opera, perché i personaggi e le storie posseggono una vita propria e a volte conducono l’autore là dove non avrebbe mai pensato di andare. Come ti dicevo prima, applichiamo poi il “bicameralismo perfetto” per amalgamare ogni parte e far diventare il testo perfettamente unitario. 
Casazza: Credo che Daniele risponderà allo stesso modo. Usiamo il metodo del bicameralismo perfetto. Ognuno si impegna a fare la prima stesura di una parte della storia. Quando ha finito, la spedisce all’altro. Se l’approva senza correzioni, è fatta. Altrimenti ogni correzione deve essere approvata dall’altro, e così via, finché non si arriva ad una versione condivisa.

·         Quali i vostri progetti futuri?
Cambiaso: Da un anno abbiamo consegnato agli editori un romanzo ambientato nella Bergamo del 1944 che spero possa vedere la luce quanto prima, anche perché sarebbe la prima avventura di un personaggio che ci piacerebbe rendere seriale. Stiamo inoltre pensando a un nuovo romanzo per ragazzi e poi, chissà. Nel frattempo, ho anche scritto un noir con Sabrina De Bastiani, anch’esso in attesa di collocazione. Per i progetti molto dipende, come vedi, dalla risposta degli editori e, dopo, dei lettori, ovviamente. Speriamo bene!
Casazza: Sempre tanti ma, per scaramanzia, preferirei sorvolare!


giovedì 23 maggio 2019

IL BAMBINO CON DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO




CORSO DI AGGIORNAMENTO

IL BAMBINO CON DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO

IL PROCESSO DI CRESCITA






Apre l'incontro la dottoressa Federica Calvi, assistente sociale, la quale legge la lettera di una madre al cui figlio viene diagnosticato l'AUTISMO.    
La madre scrive che il bambino cresceva come tutti gli altri, mangiava, dormiva, era un bimbo assolutamente normale, però non comunicava, non parlava.
Portato da uno specialista, è arrivata la diagnosi di autismo. Quella parola si è conficcata come una lama all'interno della famiglia.
La dottoressa Calvi spiega il ruolo dell'assistente sociale, che è quello di comunicare alla famiglia i servizi che il territorio offre per poter aiutare il bambino e i familiari stessi.
Gli assistenti sociali sollevano i genitori dal senso di colpa (capita spesso, infatti, che si sentano responsabili) e collaborano con la scuola, forniscono informazioni corrette su ciò che si può fare.
E' molto importante che i genitori abbiano degli spazi da gestire per loro stessi, in quanto l'autismo di un soggetto in famiglia coinvolge la famiglia intera.
Servono degli approcci individuali. Per questo, l'educatore è una figura fondamentale, che aiuta l'adattamento del soggetto autistico alla scuola ma anche all'interno della famiglia.
La cosa più importante è che ci sia una sinergia tra i vari operatori.
Il soggetto ha molte difficoltà ad esprimersi e a interagire con l'ambiente.
Prima l'autismo viene diagnosticato, prima si può intervenire.

Il dottor Claudio Merletti, dirigente della ATI Varese, spiega come i casi di autismo siano in aumento all'interno della scuola. Parla dell'assurdo di interconnessioni e riduzione della comunicazione reale.


COSA SONO I DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO? DALLA DIAGNOSI ALL'INTERVENTO.
dottoressa Laura Villa, neuropsichiatra.

La dottoressa Villa spiega che di autismo si vive e si cresce. È un disturbo atipico, perché è neuro differente. L'autismo è pervasivo in quanto compromette l'intera vita.
Pediatra, neuropsichiatra infantile e psichiatra sono figure fondamentali per la diagnosi tempestiva.
L'autismo non esiste, spiega la dottoressa: esistono gli autismi.
Si parla invece di autismo in modo improprio, usando un unico linguaggio, mentre questo è un fenomeno complessissimo e molto vasto.
Occorre rintracciare la comprensione del sistema autistico. Sarebbe un passo importante per avviare l'attività di intervento.
Il fenomeno è estremamente complesso e ancora ignoto in gran parte.
La dottoressa Villa ci mostra una slide riguardante il test delle tre montagne.
Le tre montagne riguardano i tre punti di vista parziali, che ognuno di noi mette in atto di fronte al problema. L'autismo ci impone il superamento di questo test. Quale montagna vedo?
L'autismo è neuro diversità e neuro differenza e non è una rarità, come si crede.
E' molto importante la diagnosi precoce.
Altrettanto importante la stabilità predittiva degli indicatori precoci, la valutazione dell'outcome, la diagnosi, ecc... Infatti l'autismo si distribuisce in vari campi.
Esistono cause genetiche.
Il disturbo può essere diagnosticato entro i primi due anni di vita.
Esistono componenti verbali e non. Da tenere sempre presente che l'autismo è sistemico. Come affrontarlo, dunque?
C'è un vecchio detto africano: l'elefante si mangia a fette. Significa che è molto importante scomporre il problema, affrontarlo e poi ricomporlo. Occorre definire i fenotipi comportamentali, i fenotipi possibili, definire un progetto riabilitativo e la sostenibilità del cambiamento.
La diagnosi è la descrizione dei comportamenti osservabili. Domandiamoci secondo quali criteri osserviamo la questione.
DSM 4 vs DSM 5, quest'ultimo oggi più in voga, sono studi retrospettivi.
La diagnosi parte dall'alfabeto.
Definiamo una lettera come un comportamento. Se la parola è condivisa, la diagnosi è condivisa. A = A,  B = B: in questo caso possiamo condividere con il soggetto autistico e c'è comunicazione. Ma, se io pronuncio la parola AMORE (che ha più significati anche per noi), non è già più condivisibile fra il nostro linguaggio e quello del soggetto autistico, dunque non c'è condivisione.
Le parole si combinano, il contesto le interpreta.
La storia di ognuno di noi ci fa interpretare la narrazione e può farci deviare dalla corretta interpretazione. Come fare allora la diagnosi? Il DSM-5 è restrittivo, analizza il disturbo della comunicazione e anche qualche altro disturbo. Ma noi di quale apparato dobbiamo analizzare i comportamenti? Chiediamocelo, perché l'autismo contamina anche altri apparati, ad esempio quello gastrointestinale, quelli alimentari, i disturbi del sonno, ecc.
Non dobbiamo fare una diagnosi fenomenica complessa soltanto di ciò che si vede, ma non di ciò che si vede nel complesso.
Quali segni dà il bambino entro i tre anni di vita? Quali entro i due anni? Quali entro l'anno e quali entro i 18 mesi?
Il contatto oculare e la risposta alla chiamata sotto l'anno di vita sono due indicatori importanti ma non determinanti.
Occorre tenere presenti le traiettorie evolutive:
scomporre lo sviluppo del bambino, per analizzare le tracce e definire gli elementi predittivi che poi vanno ricomposti (il linguaggio, il movimento, il contatto visivo ecc).
Prima si arriva alla diagnosi, più sarà facile definire gli elementi di cui sopra e quindi intervenire tempestivamente. Se il soggetto invece cresce, diventa difficile la scomposizione. Esiste una diversa velocità di sviluppo di progressione anche nello sviluppo atipico.
Chiediamoci quali siano le anomalie sensoriali. Le conosciamo? Le cerchiamo?
Eccole: costipazione, diarrea; il soggetto non regola la sete, non regola la sazietà, dorme molto, ha difficoltà di termoregolazione, suda per niente, ha sempre freddo.
Ci sono ipo e iper stimolazioni, per esempio il soggetto è ipertattile, ipercettivo, ecc.
I genitori sono i primi che si accorgono di certi segnali.
Quali indicatori precoci però occorre cercare? La risposta è molto difficile: li individueremo sotto i 2 anni, sotto l'anno? Bisogna porre molta attenzione fra i 12 e i 18 mesi.
Prestiamo attenzione ai disturbi sensoriali (non solo al linguaggio), al ritardo dell'attenzione congiunta, alle alterazioni sensoriali della visione, dell'udito, del tatto, del gusto, a quella vestibolare, alla viscerale, alla propriocettiva. A questo proposito si parla di Sensory Profile.

PROCESSA PER DIFFERENZE:
è autistico, perché il soggetto autistico trova ciò che è diverso, ragiona al contrario: un bicchiere rosso non è un bicchiere verde, una bottiglia senza tappo non è più una bottiglia. L'autistico processa per differenze.

PROCESSA PER SIMILITUDINE:
non è autistico. 
Il soggetto pensa: panettone = Natale; infradito + crema solare = vacanze; bianco rosso verde = bandiera o nazione.
Le parole per l'autistico sono OGGETTO, le parole per il non autistico sono NARRATE.
Io mi devo adattare all'autistico, non lui a me. La parola oggetto non narra, non simboleggia, non rimanda ad altro.
Cosa insegno allora e come? Devo insegnare prima ciò che viene prima: l'apprendimento deve essere sequenziale dal prima al dopo.
L'autistico impara ciò che gli si insegna in modo corretto, ma anche se gli si insegna in modo scorretto, solo che, in questo secondo caso, impara l'errore (principio dell'iper apprendimento: il soggetto autistico impara anche dall'errore. Sbagliando si impara = sbagliando si impara l'errore).
Bisogna insegnare il sorriso, il gioco persona-persona, ecc. (le relazioni).
Importanti sono l'approccio progressivo e non riduzionista, la flessibilità, la coerenza e l'individualizzazione.
Il fattore tempo è determinante.
Occorre tenere presenti: il quoziente intellettivo, il linguaggio, la compliance (disponibilità ad accogliere gli interventi) familiare, il numero delle ore, la misurazione di outcome (obiettivo finale). 
Punto fondamentale è l'analisi funzionale del comportamento, su cui si basa la specificità del trattamento. E' determinante il ruolo dei caregivers (tutti coloro che si prendono cura del paziente). Noi siamo il contesto e dobbiamo montare le occasioni di apprendimento.
Attenzione congiunta ed emozione congiunta sono abilità che nel normotipico si presentano nei primi mesi di vita.
Occorre chiedersi "perché? cosa? come?" del comportamento problema.
Bisogna stimolare la motivazione, che è la chiave dell'apprendimento.
La presa in carico è un accordo su un progetto condiviso. Il migliore intervento è quello possibile. Le competenze dei genitori sono fondamentali. È importante generare rinforzi di equità più che di uguaglianza. 



MITI E REALTÀ SULLO SPETTRO AUTISTICO
dottoressa Tiziana Carigi, neuropsichiatra ASST Sette Laghi Ospedale Del Ponte.

Ci sono molti fattori che agiscono sull'eziologia e sullo sviluppo dell'autismo: ambiente, genetica, biologia.
Esistono diversi miti da sfatare legati all'autismo:
- lo scarso affetto familiare (un tempo si parlava di madre frigorifero). I genitori si adattano al figlio anaffettivo;
- la mutazione di un solo gene;
- epigenetica (l'ambiente che modifica i geni);
- un fattore soltanto ambientale.
- se ci sono fratelli autistici il rischio aumenta.
Da sfatare anche il mito del mercurio e il ruolo delle vaccinazioni (già sfatato da un articolo del '98).
Un altro mito è che l'autismo sia recente. In realtà le prime osservazioni del fenomeno risalgono alla prima metà del Novecento. 
In Italia un bambino su 77 soffre di autismo, c'è quindi un aumento e si parla di epidemia dell'autismo. Però ci sono nuovi strumenti diagnostici, ecco perché si scoprono più casi.
Invece interazione, linguaggio, contatto oculare, quoziente intellettivo, affettività sono tutti elementi da tenere presenti per diagnosticare il disturbo.
I bambini autistici sono bambini isolati, generalmente senza interesse, ma altri cercano la relazione anche quella intima. Non è vero che gli autistici non sentono e non comprendono le emozioni dell'altro. Non è vero che non tollerano di essere toccati, non è detto che siano violenti e, se lo sono, sono in sovraccarico sensoriale. Essi accolgono diversamente le percezioni sensoriali.
A volte il contatto fisico crea loro dolore, a volte, se il soggetto non parla o se qualcuno parla velocemente, il soggetto autistico si sente aggredito.
Un altro mito da sfatare è la disabilità intellettiva: non è vero che l'autistico è un disabile a livello intellettivo.
Gli autistici hanno delle abilità speciali e possono anche essere dei geni.
Non c'è un esame per diagnosticare la patologia. È sbagliato aspettare che si manifestino altri sintomi. La diagnosi precoce consente un intervento altrettanto precoce. Dall'autismo non si guarisce, si può però cambiare e divenire più funzionali.
Non esiste nemmeno una cura per l'autismo. Si possono invece indurre cambiamenti adattivi. I disturbi non passano, ma non è detto che peggiorino. Non sempre serve il trattamento farmacologico. Nemmeno l'amore è sufficiente per curare l'autistico. Non basta nemmeno la sola tecnica. Bisogna invece cercare i punti di forza e quelli di debolezza del bambino.


COSA PUÒ FARE IL SERVIZIO PUBBLICO PER LA FAMIGLIA E PER LA SCUOLA?
dottor Giorgio Rossi

Un primo screening per capire se il bambino può essere affetto da autismo, può essere effettuato con la scala di valutazione AUTISM M-CHAT (Bosisio Parini, screening tool).
Esistono diverse scale standardizzate e specifiche per la diagnosi. Sono diminuite le diagnosi di disabilità intellettiva, mentre sono aumentate quelle di autismo.
Si possono fare indagini di laboratorio, a volte si fa un elettroencefalogramma, che però non è decisivo, si fa anche una risonanza magnetica, pure questa non decisiva, ci sono poi dei farmaci.
Cosa può fare il servizio pubblico?
Come prima cosa, deve spiegare che non ci sono correlazioni tra autismo e vaccino.
Anzi, il bambino autistico che non viene vaccinato, per esempio contro il morbillo, può sviluppare una panencefalite sclerosante subacuta (PESS) che può portare addirittura alla morte.
Il servizio pubblico può fare ricerca, può fare studio osservazionale della tipizzazione clinica.
C'è difficoltà di connessione tra le varie zone del cervello che può determinare un'alterazione che non fa più comunicare le varie parti tra di loro.
Il servizio pubblico può effettuare uno studio di tutto il patrimonio genetico, far svolgere degli esami con l'aiuto del Besta di Milano, può fare formazione.
Che cosa fa lo stato lo Stato? Può emanare una legge, per migliorare le condizioni di vita, per favorire l'inserimento nella vita sociale del soggetto autistico, per aiutare la famiglia. Misura B1: erogazione di €1000, se c'è una gravità importante pari al livello 3.
Può sviluppare modelli di intervento per gli adulti con aiuti economici. Questo lo fa la Regione.
Il pediatra ben instradato può fare uno screening corretto.
C'è una connessione intestino-cervello. Pare che i bambini con disturbi gastroenterici vadano osservati con attenzione. Bisogna stare anche molto attenti alla reattività e alle intolleranze a certi cibi.



IL PROFILO FUNZIONALE DELL'ALUNNO CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO
dottoressa Ledina Derhemi

L'inserimento nella scuola è un momento delicato sia per il soggetto autistico, che per la famiglia, che per il gruppo classe. Occorre l'assegnazione della figura del docente di sostegno e dell'educatore. Entrambi devono lavorare per obiettivi comuni, così come tutti coloro che operano per il bene del soggetto.
Nei casi più gravi, può necessitare l'inserimento del bambino autistico presso strutture specifiche.
Il docente di sostegno elabora il PEI con obiettivi a breve e a lungo termine, ma tali obiettivi possono essere rivisti e cambiati durante l'anno.        
L'educatore ha un ruolo importante per l'acquisizione dell'autonomia dell'alunno autistico, per l'inserimento tra i pari, per l'adattamento nei contesti non strutturati, specialmente nel passaggio da un'attività all'altra.  
L'apprendimento e l'insegnamento devono essere particolari o meglio specifici, diversamente l'alunno non apprende (sbagliando, impara l'errore).  
Quello che tu mi insegni io imparo.      
Come strutturare un PEI?    
Lavorando per obiettivi macro, che sono:     
- potenziare e affinare le competenze comunicative dell'alunno,      
- insegnare gradualmente le abilità sociali per interagire con gli altri,        
-migliorare le abilità di rappresentazione della realtà, ampliare la gamma degli interessi. 

Obiettivi specifici sono:       
- potenziamento delle singole competenze con supporto di sostegno e tempi più lunghi per l'apprendimento        
- fattore tempo: stimolazione e verifica degli apprendimenti, evitare di stimolare a priori o dire "Non è in grado di fare"       
- quali abilità occorre potenziare nel bambino competente (ha abilità più sviluppate di altre: quali sviluppare?).     
Bisogna stabilire gli obiettivi in base ai diversi profili relazionali. Ci sono bambini inaccessibili, passivi, ma che sono in grado di interagire, oppure ci sono bambini bizzarri, attivi che non rifiutano il contatto fisico.        
È meglio il rapporto uno a uno con l'adulto riconosciuto o con un compagno o un piccolo gruppo. Il rapporto con i pari invece è più difficile.
Il PEI deve tener conto della compromissione della comunicazione (la capacità di capire, di utilizzare i codici comunicativi per l'interscambio, difficoltà con le regole sociali, incapacità di padroneggiare i codici della comunicazione).      
Le finalità dell'intervento sono:    
- la promozione della comunicazione verbale e gestuale mimica      
- gli interventi specifici e mirati da condividere con gli specialisti.     
Gli obiettivi devono tenere conto dei diversi profili neuropsicologici.  
Gli autistici notano differenze minime e comprendono meglio per immagini. Importanti sono le associazioni temporali e non dei concetti. Alcuni autistici hanno difficoltà visuo-spaziali e grandi capacità linguistiche. Altri hanno difficoltà di organizzare lo spazio nel foglio. Teniamo presente che alcuni peccano in abilità superiori e fanno fatica nell'elaborare concetti, nel mantenerli e nel collegarli.        
C'è poi il problema dell'attesa, la frustrazione di attendere. Il bambino va quindi motivato allo studio, diversamente molto faticoso. Dobbiamo capire quali sono i suoi interessi. Mettere in atto la coordinazione motoria, comprendere il deficit attentivo e tenere presente la memoria visiva.
Gli obiettivi possono essere stabiliti in base ai profili emozionali individuali, in base al fatto che sia cauto/timoroso piuttosto che spericolato o disorganizzato.    
I compagni di classe sono una risorsa per aiutarlo a livello sociale e didattico.   
Dobbiamo basarci su attività ludiche, da svolgere durante l'intervallo, per esempio, o nella pausa mensa. L'insegnante di sostegno dovrà creare storie sociali oppure video modeling. Le storie sociali insegnano molto.
Bisogna programmare come e quando raggiungere gli obiettivi.       
L'alunno deve lavorare in classe o deve lavorare fuori dalla classe? 

Ci sono ambiti di lavori comuni e allora lavorerà in classe, in altri casi si può lavorare fuori dalla classe, svolgere attività guidate in classe, anche in modo autonomo, che può far svolgere l'insegnante curricolare, dopo che la docente di sostegno ha però attuato il lavoro individuale.


LA GESTIONE A SCUOLA
dottoressa Laura Lunghi

Il COMPORTAMENTO DISADATTIVO è il comportamento anormale, che mette in pericolo la sicurezza. 
Il soggetto può essere aggressivo sia contro se stesso che contro gli altri, può essere fonte di disturbo, può mettere in atto aggressione verbale e/o una distruzione dell'ambiente, e mettere in atto stereotipie.        
Il comportamento diventa un problema, quando la risposta comportamentale non è accettabile.       
Quando, dunque, un comportamento è un problema?  
Dipende ovviamente dal contesto: se un bambino urla in casa, da solo in camera sua, non è un problema; se urla in classe, è un problema; se un soggetto sfarfalla (tipico degli autistici) davanti alla TV da solo, non è un problema, se si mette a sfarfallare davanti alla televisione mentre sono presenti altre persone che vogliono seguire un programma, il suo comportamento è un problema. 

È un problema a scuola, se il comportamento è pericoloso, se interferisce con l'apprendimento, se è di ostacolo alla socializzazione.
E' importante tenere presente anche la topografia, cioè la forma del comportamento, la funzione, ossia perché lo fa? 
Occorre descrivere sempre quello che il soggetto fa e non quello che il soggetto è, ad esempio non devo dire "L'alunno è aggressivo", dirò "L'alunno sferra pugni sul banco".      
Il comportamento problematico gli consente di ottenere quello che vuole. Allora dobbiamo adottare noi un comportamento sostitutivo. 

Piange, urla e scappa, quando non vuole fare i compiti? Piange, urla, scappa, perché invece è stanco di farli?
Ci sono eventi setting: mancanza di sonno, nascita di un fratellino, trasloco, problema familiare ecc., quindi va sempre analizzato il contesto nel quale si svolge il comportamento problematico.    
Il comportamento è utile allo studente autistico perché dà accesso a dei rinforzi, è una via di fuga, una modalità comunicativa.
Le funzioni del comportamento problematico sono:        
- accesso a oggetti concreti 
- evitamento e fuga del compito  
- ottenimento dell'attenzione
- stereotipie.
Per capire quale di questi comportamenti il soggetto autistico mette in atto, noi dobbiamo fare una raccolta di dati.     
Lo possiamo fare tramite tabelle, lo possiamo fare come genitori, come educatori, come insegnanti. Mettendo insieme i risultati delle tabelle, riusciremo a capire quale funzione del comportamento adotta il bambino e quali strategie dobbiamo quindi adottare noi.
Esistono strumenti di raccolta dati, appunto, come tabelle con frequenza, c'è la presa dati ABC che è schematica e riguarda: comportamento, data, ora d'inizio del comportamento problematico, ora di fine dello stesso.  

 
Quando un comportamento è dovuto a un rinforzo tangibile, ci dobbiamo chiedere che cosa gli piace. 

Dobbiamo insegnare:
- forme di comunicazione funzionale
- attesa
- fargli accettare il NO: non potrai avere questo, ma potrai avere quest'altro. 

Quando il comportamento è dovuto al mantenimento dell'attenzione, invece, dobbiamo:
- insegnargli a richiedere l'attenzione in modo adeguato,
- prestare attenzione a quando non emette il comportamento problematico (dare attenzione al comportamento adeguato: fare il contrario)
- insegnare abilità di gioco indipendente e auto intrattenimento, cioè insegnare a fare da solo.


Quando il comportamento invece è un comportamento fuga dobbiamo:
- valutare le preferenze
- fornire accesso al rinforzo e gradualmente sfumarlo
- fornire la possibilità di scelta
- insegnare a richiedere una pausa (può interrompere adeguatamente il compito).

Quando invece il comportamento è stereotipo, dobbiamo:
- trovare sostituto sensoriale accettabile
- dare accesso al comportamento autostimolatorio, dopo altre risposte adeguate
- insegnare abilità di gioco indipendente
- bloccare il comportamento
- attuare procedure specifiche (RIRD).

Bisogna sempre stare attenti alla parte etica: non dobbiamo eliminare le stereotipie, perché fanno parte dell'autistico, però possiamo ridurle.

Ci sono strategie, per evitare il comportamento problema:
- utilizzare un linguaggio positivo (per esempio dirgli cosa deve fare, non cosa non deve fare. Ad esempio, non posso dirgli nell'intervallo: <<Non devi correre>>, ma gli dirò: <<Devi camminare>>).
- anticipare quello che succederà
- diminuire, minimizzare le istruzioni
- usare un linguaggio semplice
- insegnargli che può fare giusto con degli aiuti e non insegnargli che sbagliando s'impara
- non bisogna dargli i compiti lunghi
- dobbiamo variare i compiti
- dobbiamo alternare compiti facili a compiti difficili
- evitare di farlo stare seduto a lungo.



PROGETTO DI VITA PIANO DI INCLUSIONE
dottor Luigi Macchi

Cosa può fare la scuola? Può formare l'unità della persona.
Il mondo del lavoro deve offrire la propria partecipazione sociale attiva.
L'inclusione a scuola avviene se siamo capaci di fare azioni inclusive. Occorre stendere un progetto di vita che parta dalla scuola dell'infanzia. E' importante fare orientamento bene. 
Perché i soggetti autistici si iscrivono tutti negli istituti tecnici o al CFP e nessuno al liceo? Occorre dare significato alle attività del processo educativo, condividerle con la famiglia e con le istituzioni.
Sono importanti le relazioni, le competenze, l'autonomia, la gestione delle frustrazioni e delle emozioni, lo sviluppo delle competenze, tenendo conto della gravità del problema.
La scuola deve raccontare sempre la verità alla famiglia, non deve illuderla.
Sono importanti un'alleanza strategica e il rispetto reciproco scuola famiglia, come pure fondamentale è l'alternanza scuola lavoro. Occorre rendere pratico l'orientamento mirato nel mondo del lavoro.



PONTE SCUOLA-LAVORO
dottor Marino Bottà

Non ci sono professioni inaccessibili ai diversamente abili.
Dobbiamo orientare al lavoro, dobbiamo creare supporto alle famiglie, dobbiamo creare contenitori di formazione al lavoro, all'orientamento per i diversamente abili, dobbiamo creare un servizio di supporto alle esperienze scuola lavoro.
Occorre creare sul territorio un servizio composto da psicologi, pedagogisti, direttori scientifici, Mercato del Lavoro in grado di coinvolgere:
il diversamente abile, la famiglia, i docenti, il collocamento.
Occorre evitare lunghi periodi di inattività (la fase cosiddetta del divano, in cui l'autistico dimentica tutto quello che ha appreso a scuola e cade in depressione, per poi dover tornare in cura da psicologi).
Il collocamento dei diversamente abili avviene dopo un'accurata documentazione che viene presentata, dopodiché si effettua l'iscrizione, quindi l'inserimento nel mondo del lavoro. 
Bisogna capire se il soggetto è da cooperativa o da azienda. 
La scuola deve formare al lavoro. Il soggetto autistico potrebbe necessitare di essere inserito in un contenitore formativo alternativo alla scuola per 8/9 mesi.
Non devono esserci dei vuoti tra la scuola e il lavoro.

L'AUTISMO I BISOGNI DELLE FAMIGLIE
dottoressa Priscilla Pasino

Il livello di stress è altissimo all'interno della famiglia con un soggetto autistico.
Ci sono problemi economici e sociali notevoli. Ci sono: fatica quotidiana, isolamento sociale per tutta la famiglia, perché è più facile gestire il soggetto autistico a casa che in pubblico.
Ricordiamoci che dall'autismo non si guarisce e si ha bisogno di interventi psichiatrici ed educativi. 
Occorre stendere un progetto di vita, per aiutare autistico e la sua famiglia e tenere presente che l'autismo è una disabilità grave.
Dall'ottobre del 2011 esistono le Linee Guida.


In coda, <<Mica scemo>>, il primo spot che racconta l'autismo (tratto da lagazzettadelmezzogiorno.it)