venerdì 11 ottobre 2024

INCONTRO CON LA DOTTORESSA ALESSANDRA CERRETI, PROCURATORE ANTIMAFIA DI MILANO

 

“Bisogna acquisire la forza della ragione e non la ragione della forza”.    
È con questa frase che esordisce la dottoressa Alessandra Cerreti, Procuratore Antimafia di Milano, rivolgendosi ai docenti delle scuole secondarie di Varese, nell’ambito dell’incontro dal titolo OGGI LE MAFIE SONO PIÙ FORTI DI PRIMA. ANCHE QUI.           
Si presenta, raccontandoci di aver lavorato in Calabria con le prime donne pentite della ‘ndrangheta e nell’inchiesta sul sistema mafioso lombardo. Ci parla di casi giudiziari ormai conclusi, dei metodi investigativi usati per intercettare i mafiosi, fa sempre riferimento a situazioni concrete, perché il Procuratore è una donna concreta e invita noi docenti a esserlo con i ragazzi, a scuola, quando parliamo loro di legalità.
È molto importante parlare di persone, di azioni, di reati, di leggi, di ciò che è bene e ciò che non lo è, calandosi nelle situazioni reali, anche ricordando episodi del passato, perché è solo attraverso la realtà (e non attraverso i concetti astratti) che possiamo far comprendere le cose ai nostri alunni.     
Noi insegnanti abbiamo una grande responsabilità, che è quella di formare i giovani che ci vengono affidati dalle famiglie, e dobbiamo farlo al meglio, perché questi ragazzi saranno la società del futuro.

Alessandra Cerreti dice che l'Italia ha ottime leggi e che molte istituzioni straniere hanno preso esempio da noi. Le leggi però vanno aggiornate, perché oggi non si capisce più bene cosa sia la Mafia e cosa non lo sia. La Mafia, infatti, si estende su più fronti, tende a mescolarsi con altre realtà criminali. Ma una cosa è certa: la Mafia teme più la scuola che gli arresti. Come diceva Borsellino, ci vorrebbe un esercito di insegnanti più che un esercito di carabinieri. La Mafia, infatti, è un'organizzazione criminale segreta che teme la cultura, perché la criminalità si nutre di consenso sociale e il consenso sociale si radica più facilmente laddove c’è ignoranza.

Il Procuratore ci esorta a non commettere l'errore di assimilare le Mafie italiane a quelle straniere. La nostra Mafia, infatti, è tra le più pericolose al mondo per la realtà ontologica e storica che ne garantisce la sopravvivenza, proprio in quanto si nutre di consenso sociale, come detto poc’anzi. I mafiosi vogliono che la gente chieda loro favori e che li tema.      
La Cerreti mette a confronto Mafia, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita, Camorra. Ci parla di quando ha lavorato in Sicilia e poi in Calabria, rivela che ci sono pochi sostenitori della procura a Reggio Calabria, mentre ce ne sono di più in Sicilia.    
Durante le numerose intercettazioni telefoniche, nell’ambito di inchieste giudiziarie, i mafiosi dicevano sempre una frase ricorrente: “Se la gente si ribella, siamo fottuti”. È nostro dovere, allora, istruire, informare, formare, al fine di abbattere il consenso sociale.

La Mafia oggi va studiata a più livelli, perché invade tanti campi.              
I mafiosi sono organizzati e la risposta dello Stato deve essere coordinata e coerente.    
Noi docenti dobbiamo spiegare il fenomeno. Abbiamo la responsabilità di creare gli uomini di domani, dobbiamo parlare di Mafia ai ragazzi, dobbiamo spiegare la storia delle organizzazioni mafiose, cosicché imparino a capire quali mani non stringere.      
Andiamo sul concreto, facciamo loro alcune domande, del tipo: Sai che in quel posto ci sono dei cattivi ragazzi? Non ci devi andare. Sai che in quell'altro trovi uno spinello a €5? Non lo devi comprare, perché così finanzi la Mafia.       
              
Per vincere la mafia, dobbiamo innanzitutto superare due stereotipi:                    
PRIMO STEREOTIPO = la sindrome del “NON MI RIGUARDA”.      
Le mafie italiane non sono solo sul nostro territorio.      
Dopo le stragi palermitane, la gente si è ribellata e lo Stato è intervenuto efficacemente, quindi la Mafia si è indebolita, però si è rafforzata la 'ndrangheta.           
Le opere pubbliche sono occasioni di ricchezza per le mafie (vedi il porto di Gioia Tauro col traffico di droga).           
Oggi la 'ndrangheta ha troppi soldi e non sa più dove metterli, quindi nasce il problema del riciclaggio.         
Nella 'ndrangheta la cosca coincide con la famiglia naturale, ci sono legami di sangue, quindi è molto forte.   
Le mafie non mettono i soldi in Calabria, perché vogliono che la loro gente rimanga povera, altrimenti non ha più bisogno di loro.

SECONDO STEREOTIPO da superare: LA MAFIA NON È IMMUTABILE E FERMA, SI EVOLVE, è in mezzo a noi, perciò non dobbiamo avere paura di affrontare i cambiamenti. La Mafia si adatta ai tempi, alle esigenze. Oggi spara un po' meno, soprattutto a Milano, perché il fatto di sangue attira la magistratura. Oggi la Mafia è business, è legata agli affari, investe in Bitcoin. Le mafie aprono centinaia di società per schermare il loro denaro. Si parla di infiltrazione nell'economia legale. La ‘ndrangheta trova le porte spalancate poiché spesso sono proprio gli imprenditori a cercarla.               
Il metaverso, lo spazio virtuale in cui si assottigliano fino ad essere quasi impercettibili le differenze con la realtà, è uno strumento eccezionale nel quale investire per le mafie. Il mafioso non teme l'arresto, anzi è un vanto, teme piuttosto che gli vengano tolti i soldi, perché senza soldi perde potere.             
              
Il Procuratore passa quindi a parlare dell'articolo 41 bis e della questione Cospito. Sostiene che la magistratura stabilisce che il boss sia da mettere in isolamento, se è in posizione apicale, altrimenti è sicuro che, entrando in carcere, arriverà a formarsi la sua cerchia e a comandare all’interno, persino sui secondini. Ma, per fare questo, deve dimostrare che il capomafia ha già cercato di fare proseliti.           
Col 41 bis i capi mafiosi hanno solo un'ora d’aria/di socialità con soltanto tre persone che vengono decise dal magistrato stesso per questioni di sicurezza; hanno inoltre un solo colloquio al mese (non settimanale come gli altri) e parlano col citofono e con il vetro che li separa dall’interlocutore. Questa misura precauzionale viene presa perché non vengano passati messaggi ai famigliari. Infatti i mafiosi li scambiano anche semplicemente con i gesti, quindi vengono registrati durante i colloqui con i parenti. Sono stati trovati addirittura dei pizzini nei pannolini sporchi dei neonati e nei biberon. Le donne dei detenuti sono attenzionate, perché sono coloro che portano i messaggi all'esterno del carcere.

              
Ed ecco che, a questo punto, Alessandra Cerreti affronta la questione serie tivù e canzoni.               
Ci sono serie TV come “Mare fuori” che dipingono il mafioso come un eroe, ci sono i trapper (trap = sottogenere della musica rap, sviluppatosi, a partire dagli anni Novanta del Novecento negli Stati Uniti, come espressione degli ambienti sottoproletari urbani degradati, caratterizzato da testi violenti e aggressivi, ritmati da una musica elettronica fortemente sincopata) che inneggiano alla violenza. Ebbene queste serie e queste canzoni sono molto viste e ascoltate dai ragazzi, senza la supervisione di un adulto.
Le famiglie purtroppo latitano, non controllano i figli, e gli insegnanti si ritrovano investiti da un’onda anomala.          
Cosa possiamo fare allora come docenti?            
Possiamo raccogliere, per esempio, i cellulari in un cestino tutte le mattine, per obbligarli a “staccarsi” dallo strumento che assorbe i loro interessi almeno durante le ore scolastiche (è un gesto simbolico nella secondaria di primo grado, poiché l’uso ne è già vietato), poi dobbiamo bombardarli di argomenti con esempi concreti, parlare loro dell'omertà che va abbattuta, definirli “Angeli Custodi della Legalità”, dobbiamo lasciare un seme nei ragazzi, che possa crescere per la società futura, insegnare che il più forte ha l'obbligo di tutelare il più debole altrimenti è solo un vigliacco.     
Ricordiamoci che tutti insieme possiamo.           
Utilizziamo inoltre episodi del passato per parlare di presente. Diciamo ai nostri ragazzi che per colpa della Mafia anche la loro famiglia è più povera, anche la loro scuola è più povera, anche la loro città è più povera, perché non si possono fare opere di ristrutturazione, aggiustare strade e loro andranno in motorino meno sicuri.  Insegniamo ai ragazzi anche come votare.    

Ma la cosa più importante che possiamo e dobbiamo fare è partire spiegando loro l'importanza del rispetto delle regole. Facciamogli capire che violare le regole è già un atteggiamento mafioso, così come lo è copiare una verifica, perché sono atti illegali. Violare qualsiasi regola è un atteggiamento mafioso.     
Sempre per quanto concerne le canzoni, il Procuratore riferisce che ci sono certi mafiosi ed esponenti della ‘ndrangheta (come il boss poeta Bellocco che scrive dal 41 bis) che scrivono canti di mafia (si veda, per esempio, la “Ninna nanna del malandrineddu”) che vengono usati per fare proseliti in Europa tra gli italiani all'estero.         
Che fare, allora? Più brutta e pericolosa è la canzone, più dobbiamo analizzarla insieme ai nostri studenti; più brutto e più pericoloso è il film, più dobbiamo parlarne con loro. Laddove la famiglia latita, è dovere della scuola e dei docenti INTERVENIRE ED EDUCARE.

FREDDO AL CUORE di Lodovico Festa, Marsilio

 

FREDDO AL CUORE



La storia ha inizio nel settembre del 1994 in pieno governo Berlusconi.  
Il cadavere di Paolo Ettorri, ex sindaco di Corsico, esponente del PCI milanese, viene ritrovato nella vasca del depuratore di Peschiera Borromeo. Si pensa a un omicidio. Viene sospettato Alberto Rosci, della Lega delle cooperative.         
Mario Cavenaghi, ingegnere, ex presidente della Commissione probiviri lombarda del PCI, trasferitosi da tempo a Lugano con la famiglia, viene richiamato a Milano per investigare sul delitto.
La moglie Carla (la Carla, rigorosamente con l’articolo davanti al nome alla maniera lombarda) è una donna saggia e protettiva che vorrebbe il marito lontano dalle questioni politiche e fa di tutto per convincerlo a non incontrare gli ex compagni milanesi, ben sapendo che il marito si lascerà coinvolgere nella vicenda. Ma Cavenaghi era stato amico di Rosci, ex compagno di studi e di impegno politico, e non può non prendersi a cuore il caso. L'ingegnere si trova così coinvolto nelle indagini.             
A Milano incontra vecchi amici, esponenti del PCI, con cui ricorda i tempi ormai trascorsi, prima che lo scandalo tangentopoli scoppiasse nella politica.     
Ci sono momenti nostalgici che riportano il luganese (come viene apostrofato dagli amici, scherzosamente ma non troppo, per essere fuggito dalla Milano corrotta ed essersi trasferito in un'isola felice come la città Svizzera) ai tempi della gioventù e della militanza nel partito. Ed è proprio in nome di quei vecchi tempi e degli ideali che sostenevano allora il partito, che il luganese Cavenaghi accetta di lasciarsi coinvolgere nel caso e di salvare l'amico e compagno Rosci, nonché la sua reputazione, certo della sua integrità morale.

 L'Internazionale, l’inno rivoluzionario per eccellenza, apre e chiude il libro. All'inizio risuona in testa a Cavenaghi tutta notte (Rosso in petto un fiore c’è fiorito, una fede c’è nata in cuor. Noi non siamo più – nelle officine, entro terra, nei campi, in mar – la plebe sempre all’opra china senza ideale in cui sperar) alla fine non turberà più il suo sonno (E così l’ingegner Cavenaghi prese sonno, certo che i suoi sogni non sarebbero stati turbati dalle parole e dalla musica dell’Internazionale).

PERSONAGGI

Il libro pullula di personaggi, la maggior parte creati dalla fantasia dell’autore, ma sono presenti anche personaggi reali, che hanno fatto parte della storia politica del nostro Paese, come Lamberto Dini, ministro del tesoro, Antonio Fazio, governatore di Banca d'Italia, Piercamillo Davigo, il magistrato che ha condotto la lotta contro la corruzione, Umberto Bossi, leader della Lega Lombarda, Oscar Luigi Scalfaro, presidente della Repubblica, Licio Gelli della loggia P2. Vengono inoltre fatti numerosi riferimenti alla mafia, alla camorra e alla ‘ndrangheta degli anni ‘70 e ‘80 e agli scontri tra queste e gli albanesi e i serbi negli anni ‘80 per il loro tentativo di radicarsi nel mercato milanese della droga.

Protagonista assoluto della vicenda è Mario Cavenaghi, ingegnere, ex presidente della commissione dei probiviri del PCI lombardo. Uomo dalla moralità ferrea, dai grandi ideali, nostalgico del tempo in cui il partito era integro. Ha una famiglia con due figli adolescenti e una moglie (la Carla) molto affettuosa e apprensiva, nonché protettiva. Si preoccupa per lui e lo controlla (anche attraverso le telefonate alla sorella Ines), affinché non si cacci nei guai, tanto che il Cavenaghi cerca escamotage per “ingannarla” benevolmente, onde evitarle ogni possibile preoccupazione (le fa credere di essere a Roma, quando si trova in Sicilia e controlla il meteo della capitale per riferire le condizioni del tempo, quando a Roma piove e a Palermo c’è il sole; oppure la fa chiamare dal portiere di un albergo di Roma, in accordo con un amico PM che lo aiuta nelle indagini).
Cavenaghi è molto legato alla famiglia, telefona ogni sera e ogni mattina alla moglie, cercando di tranquillizzarla, rientra a Lugano appena possibile.

Ben delineato anche il personaggio della Ines, la cognata che lo ospita durante il suo soggiorno a Milano, insegnante alle prese con adolescenti scatenati, che ha una relazione con un bidello, amante focoso, relazione della quale il Cavenaghi è contento, poiché la tiene occupata e quindi meno presente nei suoi affari. La Ines, infatti, è la “spia” personale della Carla e le riferisce tutto quello di cui viene a conoscenza circa il cognato. Né lei né la Carla sono a conoscenza della reale attività che Mario svolge nel condurre le indagini, esponendosi a rischi importanti.

Fondamentali i personaggi che aiutano il luganese, ex compagni di università ed ex militanti del partito, nonché altri personaggi di contorno come giornalisti dell’Unità e del Corriere, magistrati, ma anche gente comune come la giornalaia e la farmacista che rappresentano fonti preziose per studiare gli spostamenti di colui che si sospetta essere la talpa all’interno del partito.

 

AMBIENTAZIONE

Fa da sfondo alla storia la Milano degli anni ’90, con le sue vie e i locali di tendenza, nonché bar e ristoranti, dove Cavenaghi si ritrova con i compagni e con gli informatori a discutere del caso.

 

STILE NARRATIVO

Il linguaggio si presenta colto ma allo stesso tempo accessibile, senza particolari ricercatezze formali. Sono presenti molti dialoghi, che conferiscono un ritmo serrato alla narrazione nei momenti clou della storia.

I personaggi sono descritti minuziosamente nel loro aspetto fisico alla loro comparsa sulla scena, tanto che pare di poterli realmente vedere, mentre l’autore ci porta a scoprirli nel loro carattere attraverso lo sviluppo della trama, secondo la tecnica del “show don’t tell”.

Una particolarità dell’autore è quella di condurci con leggerezza nel quotidiano di ognuno di loro, portandoci anche a tavola, dilettandosi a descrivere con dovizia di particolari i piatti serviti ora dalla moglie di uno, ora dell’altro, ora consumati al ristorante. Apprendiamo così che Cavenaghi non disdegna i piaceri della tavola, ma, morigerato anche nell’ambito culinario, si preoccupa di rimettersi in riga, dopo essersi lasciato sedurre dai peccati di gola.

“Freddo al cuore” appartiene alla categoria del giallo classico, quello a enigma, in cui si ha già una vittima a storia avviata, dove quello che conta sono le indagini, le ricostruzioni degli eventi, la ricerca degli indizi per arrivare alla scoperta del colpevole. Niente colpi di scena, dunque, niente suspence, ma una sapiente ricostruzione dei fatti ad opera di un bravo investigatore che poi investigatore non è.

Un giallo ben costruito che porta il lettore a conoscere aspetti della storia di un’Italia di un tempo che fu.

 

Laura Veroni