Varese, due adolescenti svaniscono nel nulla nell’arco di pochi giorni. Per il primo, Luca Alberti, si pensa a un allontanamento volontario, ma, quando scompare la seconda, Marta Moretto e viene rinvenuta la sua bicicletta abbandonata sul ciglio della strada, si inizia a ipotizzare che possa trattarsi di rapimento.
sabato 25 ottobre 2025
LA VILLA, Laura Veroni, Morellini Editore
sabato 23 agosto 2025
FAGOCITATI DAL VIRTUALE, RISCHIAMO DI PERDERE IL CONTATTO CON LA REALTA’?
Da
tempo volevo scrivere il mio pensiero circa i social e il mondo virtuale dal
quale siamo ormai completamente fagocitati tutti (o quasi), ma, ogni volta che
mi accingevo a farlo, sorgeva in me la considerazione che l’argomento è stato
ormai affrontato da più parti, che il fior fiore degli esperti di ogni tipo ha
scritto in merito, steso articoli, trattati, volumi, per cui ritenevo che la
mia fosse solo una voce in più, inutile, ripetitiva del già detto, già letto,
già scritto, già sentito, e lasciavo perdere.
Però continuavo ad avvertire l’urgenza di dire la mia, proprio perché non solo
come persona nella vita di tutti i giorni, ma anche, e soprattutto (cosa che mi
preme di più), come insegnante, e quindi educatrice, a scuola, mi scontro
quotidianamente con una realtà che sta assumendo contorni sempre più
preoccupanti e mi domando cosa si possa fare per porre rimedio a questo stato
di cose, prima che tutto precipiti.
Che tutto precipiti, badate bene, perché ho la netta percezione che l’essere
umano si stia disgregando, che stiamo andando alla deriva e stiamo annullando
la nostra “umanità” (cervello, corpo e anima), assorbiti dal mondo virtuale.
Stiamo perdendo i contorni del nostro ESSERE, stiamo perdendo la LIBERTA’, stiamo
perdendo la capacità di RELAZIONARCI agli altri.
Il fenomeno degli Hikikomori (l’isolamento sociale volontario emerso negli
anni Novanta in Giappone, che ha provocato un incremento di ragazzi chiusi in
casa in ritiro volontario, per il quale invito a leggere l’articolo QUI) sta
dilagando in maniera drammatica anche in Italia. A oggi si stimano 200.000 casi.
La prima volta che ho incontrato questo termine è stato qualche anno fa su un’antologia.
Stavamo svolgendo un’attività di gruppo in classe, nell’ambito di Educazione Civica,
che comportava la realizzazione di un grafico inerente all’uso del cellulare da
parte dei preadolescenti e ci siamo imbattuti in una lettura sugli hikikomori.
Era una parola sconosciuta anche a me e ne ero rimasta parecchio incuriosita.
Al termine della lettura, avevo deciso di approfondire l’argomento, assegnando
ai ragazzi una ricerca da svolgere a casa, per poi discuterne insieme a scuola.
Ricordo che ci era parso un mondo oserei dire da fantascienza e di aver pensato
che un fenomeno del genere non avrebbe mai potuto coinvolgere i nostri ragazzi,
ritenendolo frutto di una società e di uno stile di vita totalmente diverso da
quello del mondo occidentale, troppo lontano. Invece…
Sempre più ragazzi soffrono di quella che viene definita “ansia sociale”, un
disturbo che rende difficili, se non addirittura impossibili, le relazioni, non
riescono a entrare in classe, a volte nemmeno a varcare il cancello della
scuola, sono colti da attacchi di panico e i genitori si vedono costretti a
ricorrere a specialisti per affrontare quello che diventa un problema non più
solo del singolo, bensì dell’intera famiglia. In questi casi (che, purtroppo,
come ho già detto, sono in aumento) anche noi insegnanti veniamo coinvolti e ci
troviamo ad affrontare colloqui periodici con psicologi e specialisti di riferimento,
per cercare di capire come aiutare lo studente in questione. Tutti sappiamo che
esiste l’obbligo di frequenza scolastica fino ai sedici anni, ma non tutti (specialmente
chi non è del mestiere) sono a conoscenza di questo drammatico fenomeno, in cui
alcuni ragazzi si ritrovano invischiati, caratterizzato da una sorta di “blocco”
che impedisce loro di immergersi nella realtà concreta dell’ambiente scolastico.
Se la scuola è un ambiente comunque protetto e comprensivo, che si prodiga per andare
incontro a questo genere di problematiche degli studenti, il mondo fuori non lo
è altrettanto. Superato il periodo della scuola attraverso modalità diverse dalla
consuetudine consistenti in studio a casa, incontri online, sporadiche presenze
al di fuori della classe, magari in laboratori all’interno dell’istituto, per
la verifica delle conoscenze/abilità/competenze acquisite in ambiente
domestico, cosa ne sarà di questi ragazzi? Come potranno affrontare la vita?
Sicuramente attraverso un percorso lungo e spesso difficoltoso, nonché oneroso,
che dovrà portare al superamento dell’ansia che ha costretto il ragazzo all’isolamento.
C’è, però, da chiedersi come questi ragazzi trascorrano il tempo, rimanendo da soli
a casa. Non certo a studiare h24. I genitori devono pur sempre lavorare, di
conseguenza si ritrovano a passare molte ore in solitudine. Inevitabilmente, sono portati
a cercare compagnia e fonti di distrazione nel mondo dei social e a vivere di
rapporti sempre più virtuali e sempre meno reali.
Fortunatamente, in questi casi, non siamo ancora nella sfera del fenomeno Hikikomori, ma è evidente che, se la situazione non viene adeguatamente e
tempestivamente affrontata, il rischio che degeneri sussiste.
Sempre più scuole attivano sportelli psicologici (e il numero di richieste è
sorprendentemente in aumento), nonché progetti per formare gli studenti a un
uso consapevole del web (cittadinanza digitale). Questo perché il disagio e l’ansia
non sono limitati solo a casi isolati, ma sono estesi a tutta la popolazione
giovanile e, vorrei aggiungere, non solo a quella. Non starò qui a elencare tutte
le casistiche di questo fenomeno che ci coinvolge tutti e che, come ho già
detto, sono state affrontate da altri. Invito, però, i genitori e gli
insegnanti che ancora non lo avessero fatto alla lettura di un libro che reputo
fondamentale per riuscire a comprendere i nostri giovani e i loro disagi: “La
generazione ansiosa” di Jonathan Haidt.
Vorrei concludere questa mia riflessione, facendo un riferimento anche al mondo
adulto, anch’esso sempre più assorbito dai social e dal web. È deprimente osservare
e constatare come siamo cambiati nell’ultimo decennio, come ci siamo lasciati
travolgere e condizionare dal cellulare. Il cellulare, nato come strumento di
COMUNICAZIONE mobile, come oggetto per aumentare la nostra sicurezza (sono
fuori casa e ho un problema, devo comunicare un ritardo, ho perso il treno, ho
avuto un incidente…) si è trasformato in un’arma LETALE per la nostra salute
fisica, ma soprattutto psichica. Ci ha trasformati, ha modificato il nostro
comportamento, il nostro modo di vedere, ci ha resi SCHIAVI.
Se col tempo
modificherà in modo evidente la nostra postura (si ipotizza un futuro di esseri
umani con la gobba a livello delle vertebre cervicali, tutti sempre con la
testa rivolta verso il basso, per leggere messaggi, osservare video e via
dicendo… non vi ricorda l’evoluzione della specie di Darwin?), non ci rendiamo
conto che ha invece già modificato il nostro cervello e condizionato le nostre
esistenze, nessuno escluso.
Osservo. Osservo le persone. Lo faccio quando sono
in treno, lo faccio al ristorante, lo faccio nelle sale d’attesa, lo faccio per
strada, ovunque. E noto.
Noto che la gente non è più capace di gestire “i tempi morti”, le attese,
perché l’attesa, che una volta generava un’ansia positiva, oggi genera l’ansia
negativa, quella disturbante, per cui siamo portati a evadere, a cercare di riempire
il vuoto con qualcosa che distragga il nostro cervello dalla riflessione, da
qualsiasi tipo di riflessione. La gente è distratta dal mondo reale, immersa in
quello virtuale, assorbita, fagocitata. Ovunque vedo persone con il cellulare
in mano. Vedo mamme che camminano per strada spingendo il passeggino con dentro
bambini ignorati, poiché intente a messaggiare o a fare altro con il
telefonino. Vedo coppie al ristorante che non si parlano, non si guardano negli
occhi, ma sono concentrate sul proprio schermo; vedo padri con i figli con i
quali magari vorrebbero parlare e i figli li ignorano, perché preferiscono chattare
con gli amici o viceversa (ho visto anche quello), ma più spesso sono entrambi
intenti a fare altro, ognuno con il proprio cellulare. Vedo persone riempire il
tempo nelle sale d’attesa, con la testa china sul telefono. Sono sempre più
rare quelle che hanno in mano un libro e ancor più rare quelle che nel
silenzio aspettano senza fare nulla.
Osservo e mi domando: se siamo noi adulti i primi a lasciarci travolgere da
questo malefico strumento, se diamo più importanza ai rapporti virtuali, ignorando
chi ci è fisicamente vicino, se diamo per scontate le persone reali e le
releghiamo in un angolo, senza degnarle di attenzione, senza sforzarci di
ascoltare i loro bisogni, facendole sentire poco importanti per noi, se per far
stare tranquilli i nostri figli li piazziamo davanti allo schermo già da piccoli,
come possiamo sperare che il mondo guarisca?
Tocca a noi “grandi” essere di esempio ai piccoli, se vogliamo salvarli. Forse
siamo ancora in tempo per farlo e per salvare anche noi stessi. Basta
cominciare, disintossicandoci come si farebbe con un farmaco che ci ha creato
dipendenza, scalandolo poco alla volta. Cominciamo impegnandoci a trascorrere
meno tempo sui social, sforzandoci di dedicare invece più momenti a chi ci è
vicino, e smettiamo di farci rubare la vita.
mercoledì 16 aprile 2025
25 APRILE, FESTA DELLA LIBERAZIONE
RIFLESSIONE SUL 25 APRILE
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C |
ari ragazzi,
avete
mai pensato davvero che cosa rappresenti il 25 Aprile? Che significato ha per voi
generazioni Zeta e Alpha questa data?
Forse per alcuni è soltanto un giorno di vacanza, uno in cui non c’è scuola e
si può poltrire a letto, fare colazione tardi e non pensare a compiti e
interrogazioni.
Per altri magari rappresenta un’occasione per recarsi in località di vacanza,
al mare o in montagna oppure in città d’arte o ancora per andare a trovare parenti
che vivono lontano. Qualcuno invece resterà a casa e vivrà questa giornata come
una festa qualunque. Ma non è così. Il 25 Aprile non è una semplice festa: è
molto di più.
A questo giorno dobbiamo la nostra LIBERTA’.
I vostri insegnanti vi avranno sicuramente parlato di quella che è
stata la liberazione dal nazifascismo. Ne avrete sentito parlare in televisione,
chissà quante volte anche negli anni passati, ma, forse, la notizia vi è
scivolata addosso senza lasciare traccia.
Non deve essere facile alla vostra età cogliere il significato profondo della LIBERTA’.
E sapete perché? Perché voi siete nati liberi.
Il fascismo, la dittatura che ha governato il nostro Paese per un ventennio, è
un evento che non vi ha coinvolti, come ha invece coinvolto le generazioni degli
anni successivi alla Grande Guerra a partire dal 1922.
Si può capire fino in fondo il valore di una cosa (la libertà), senza avere mai
vissuto la sua privazione? Non sempre è facile apprezzare ciò che si ha, ma
provate a pensare che cosa significhi vivere nell’assenza di libertà.
Immaginate di vivere “costretti”. Costretti? Vi domanderete che cosa significhi
questo termine.
Ecco che cosa dice il dizionario:
VOCE
DEL VERBO COSTRINGERE
1. Obbligare
qualcuno, con la forza o la suggestione, ad andare contro la sua volontà.
2. Obbligare
a stare in un luogo, immobilizzare.
Ma
ci sono anche altre definizioni simili.
Ecco, immaginate, allora, di vivere così. Le persone che hanno vissuto in
quegli anni non erano libere di esprimersi come volevano, di muoversi come
volevano, di fare quello che volevano, persino di “pensare” come volevano (c’erano
molti condizionamenti), pena l’incarcerazione o la morte. Il fascismo, come tutti
i totalitarismi, controllava la vita pubblica e privata dei cittadini.
Che grande fortuna, invece, avete voi che potete vivere liberi!
Ed è proprio per cogliere a fondo il significato della LIBERTA’ che la nostra
Dirigente Scolastica ha proposto, in occasione dell’80esimo della festa della
Liberazione, di far realizzare a ogni classe un’attività da condividere con le
altre: scrivere le vostre riflessioni e incollarle su cartoncini verdi, bianchi
e rossi da applicare sulla grande bandiera tricolore posizionata nell’atrio
della nostra scuola.
Sarà un momento di “comunione” (nel senso di metter in comune), che vi vedrà
protagonisti, non più solo spettatori, di un giorno che tanto ha significato, e
che sempre ne avrà, nella storia del nostro Paese e di ognuno di noi.
Buona
LIBERTA’ a tutti!
Prof
Veroni
giovedì 20 marzo 2025
PRESENTAZIONE LANCIO: "DELITTO IN CASA EDITRICE"
Di seguito alcuni momenti della presentazione del giallo
"Delitto in casa editrice", Fratelli Frilli Editori
lunedì 17 marzo 2025
martedì 25 febbraio 2025
DELITTO IN CASA EDITRICE, LAURA VERONI, FRATELLI FRILLI EDITORI
Il corpo senza vita di
Luca Orrigoni, proprietario dell’omonima casa editrice, sita in via Robbioni in
pieno centro a Varese, viene ritrovato nel suo ufficio dalla segretaria Marina
Pillon la mattina seguente all’omicidio. L’uomo ha il volto deturpato da un
colpo di proiettile sparato a bruciapelo. La segretaria, sconvolta, chiama la
polizia. Il commissario Auteri e il magistrato Elena Macchi giungono sul posto.
La Pillon riferisce che il suo capo si era attardato al lavoro, la sera
precedente, rimanendo da solo nei locali della casa editrice.
Nessuna effrazione. Se ne deduce che l’editore abbia aperto al proprio
assassino. Lo conosceva? Aveva un appuntamento con lui? E, in quel caso, perché
la Pillon ne era all’oscuro?
Viene data la notizia alla moglie Bianca, la quale aveva trascorso la serata
con un’amica e non si era accorta del mancato rientro a casa del marito.
Dalla donna addetta alle pulizie si viene a sapere della relazione clandestina
tra l’editore e una certa Lucrezia Sacchi, aspirante autrice, ma di scarso
talento, la quale avrebbe avuto una tresca anche con l’editor della Orrigoni
s.r.l., tale Giacomo Del Gaudio. È proprio da questi due personaggi, sui quali
ricadono i primi sospetti, che prendono avvio le indagini.
Come sempre, la Macchi viene supportata dal vice commissario, Antonio Pozzi,
che in questo settimo episodio della serie ha un rapporto molto più che
professionale con il magistrato.
Le immagini scaricate da una telecamera posta di fronte alla casa editrice
rivelano la presenza di una figura non identificabile entrare nell’edificio
intorno all’ora del delitto, secondo quanto stabilito dal medico legale, dottor
Gianciotto, e uscirne poco dopo. L’individuo indossa un piumino con cappuccio
calato sulla testa e risulta impossibile metterne a fuoco il volto. Un
particolare dell’abbigliamento, però, colpisce il P.M.: uno stemma
catarifrangente piuttosto singolare. E sarà proprio il piumino a costituire
l’elemento decisivo per la soluzione del caso.
mercoledì 19 febbraio 2025
MAFIA E MUSICA TRAP (LA MAFIA TEME LA SCUOLA PIU' DELLA GIUSTIZIA)
LA MAFIA E LA MUSICA TRAP
Nell’ambito del terzo incontro
dal titolo LA MAFIA TEME LA SCUOLA PIU’ DELLA GIUSTIZIA, si è affrontato il rapporto
tra la mafia e la musica trap.
Edoardo Mangini, videomaker,
ha mostrato ai docenti presenti il video da lui realizzato con le interviste ad
alcuni studenti delle scuole superiori.
A loro sono state rivolte alcune domande:
1) Credi che la musica trap abbia un influsso negativo sui giovani?
Ecco alcune risposte:
dipende da come l'ascolti,
dipende da quale lato l'ascolti,
per i piccoli è pericolosa ma anche per alcuni adolescenti facilmente
influenzabili,
dipende dal cantante.
2) Sei favorevole alla
censura dei testi musicali?
Risposte:
no, perché alcuni cantano di quello che hanno fatto per vivere,
per alcune canzoni sì, per altre no.
3) I trapper scrivono quello
che pensano o scrivono per fare audience?
Risposte:
alcuni scrivono quello che realmente pensano,
dipende,
la maggior parte lo fa per attirare visualizzazioni.
4) I genitori sono d'accordo
con la musica trap quando tu l'ascolti?
Risposte unanimi:
no.
5) Quali sono gli aspetti
più rilevanti nelle canzoni trap, il testo o la musicalità?
Risposte:
la musicalità,
all'inizio ci si focalizza sulla musicalità poi sul testo.
6) Trovi che il trap
rappresenti il mondo adulto di oggi, quando parla di fare soldi e carriera?
Risposte:
forse è più adatto ai ragazzi di oggi in relazione al loro futuro,
per i giovani, i trapper sono un modello per arricchirsi.
7) La criminalità
organizzata sfrutta il trap per far passare le proprie idee? Risposte:
no, perché i trapper sono dei ribelli e non stanno alle regole.
8) Ci sono simboli nei
videoclip delle canzoni trap che evocano la cultura mafiosa?
Risposte:
no, si tratta di un gioco di immagini.
9) I social media sono
un'opportunità o uno strumento che fa passare i messaggi mafiosi?
Risposte:
sono entrambe le cose.
10) I trapper influenzano i
giovani?
Risposte:
la musica trap descrive la vita dei ghetti, quindi no,
dipende dall'influenzabilità di chi ascolta.
I ragazzi intervistati hanno
saputo fare un distinguo, dimostrando che ascoltano i testi trap in modo
critico.
Il trap è un genere
ascoltatissimo dai giovani a partire già dalla terza media, in alcuni casi
anche dalla quinta elementare. La musica trap contiene frasi violente nei
confronti delle donne e frasi che incitano al consumo di droga. Bisognerebbe
quindi parlarne ai ragazzi per far capire loro l’erroneità dei messaggi che
vengono trasmessi da questi cantanti, ma occorre trovare la maniera giusta per
farlo. Se noi adulti non diamo loro un indirizzo educativo, un modo adeguato
per accostarsi a questo tipo di musica, lo faranno comunque da soli, col
rischio di “assorbire” i messaggi negativi che emergono da quelle canzoni.
Una delle questioni più interessanti da affrontare è quella relativa al lusso e
ai soldi che vengono trattati nelle canzoni dei trap. Questo è un argomento che
bisognerebbe sviscerare con i ragazzi che oggi più che mai inseguono il mito
dei soldi facili. C’è da chiedersi perché soldi e successo siano così
importanti per i nostri ragazzi.
La seconda parte dell’incontro
viene condotta dal professor Augusto Gentili, musicologo e docente
universitario e non solo.
Il professore domanda alla platea che cosa sia la musica trap.
Solo tre persone hanno saputo rispondere.
Il professore precisa subito
che il trap non è un genere musicale.
Per genere musicale,
l'antropologia musicale intende ciò che un gruppo sociale riconosce come
musica.
Esistono un punto di vista esterno e un punto di vista interno da cui
considerare il genere musicale. Esiste anche un trap di alta qualità, per
esempio in Francia nelle banlieue e in America ma non in Italia.
In Italia i discografici scelgono una bella ragazza o un ragazzo tipo, pieno di
tatuaggi e di piercing, che possano colpire lo spettatore giovane e per loro
sono semplicemente macchine da soldi senza talento.
Un tempo, prima di fare
musica si doveva studiare e studiare molto.
Possiamo definire il trap un genere “poetico triviale” che ha grande influenza
sui ragazzini che emulano gli atteggiamenti dei cantanti trapper. E quali sono
questi atteggiamenti? Quello del bullo, da parte dei maschi, e quello della
ragazza oggetto che si sente tale da parte delle femmine.
Il trap esercita una fascinazione sui ragazzini per come viene presentato, pur
essendo un prodotto di scarsa qualità.
Nel trap italiano la musica non è significativa. Molti trapper sono finiti in
galera. Il professor Gentili ci mostra su YouTube un video di Childish Gambino “This
is America”.
Successivamente alla visione ci fa riflettere sul fatto di quanto il testo
sia ripetitivo e ossessivo e di come le immagini siano inneggianti
alla violenza gratuita e soprattutto all'indifferenza nei
confronti della violenza stessa (nelle immagini ci sono anche uso della
droga e prostituzione).
Il messaggio che passa è YOU ARE BARCODE ossia tu fai, consumi, spendi e
finisci come un codice a barre.
I trapper italiani non sanno usare la voce, usano sempre l'auto-tune.
Il docente ci spiega che produrre un brano trap è molto semplice.
Come fanno i ragazzi di oggi a venire a conoscenza della musica trap? Semplice:
attraverso il cellulare, con il quale accedono anche a canali pornografici.
Purtroppo oggi non ci sono più paletti, non ci sono più livelli di valori, non
ci sono più differenziazioni. Tutto allora è lecito e si può svolgere ovunque e
questo è terreno fertile per la malavita.
Il professore sostiene che in prima media gli studenti siano troppo piccoli per
farli riflettere sui messaggi della musica trap, mentre in seconda e terza si
può già cominciare a parlare loro di certi argomenti.
Con le tv commerciali emerge la figura del mediocre. I trapper italiani
suscitano questo pensiero nei ragazzi: ce l'ha fatta lui, che è mediocre, posso
farcela anch'io.
I trapper sono dei prodotti non degli artisti. I discografici studiano il
target e oggi il target sono i ragazzini dai 10 ai 14 anni.
Gli effetti del trap sono o nulli o nefasti, non c’è una via di mezzo.
La musica è nutrimento e, se negativa, in quanto tale può indurre anche a
comportamenti violenti.
Sono stati fatti degli esperimenti sui giovani che ascoltavano musica trap a
ripetizione. Successivamente gli stessi mettevano il tabasco nella tisana del
compagno che prendeva parte all’esperimento di ascolto dopo di loro anche se
non lo conoscevano. Questo deve metterci in guardia sull’effetto che la musica
esercita sul cervello di chi la ascolta, inducendo comportamenti conseguenti.
Tra l’altro, oggi si stanno diffondendo sempre di più tra i giovanissimi gli
sport costituiti da arti marziali miste, inneggianti alla violenza fine a se
stessa.
Prestiamo dunque molta attenzione.










