giovedì 12 marzo 2020

"OGGI HO TRASGREDITO AL DECRETO", Simone Innocenti



In questi giorni in cui nei social (e non solo) si scrive di tutto, questa è la cosa più bella che ho letto.   
L'ha scritta il mio amico Simone Innocenti. Lo ringrazio per avermi dato il permesso di ospitarla nel mio blog. Mi sembrava troppo bella, per lasciare che si perdesse nella miriade di messaggi che circolano e che poi finiscono nel dimenticatoio.       
Le sue sono parole cariche di Poesia e di Amore.


Simone Innocenti


Oggi ho trasgredito al decreto. E sono uscito di casa, non appena ho preso un paio di cose da mangiare. Ho preso la strada e mi sono messo a camminare, c'era silenzio: per un attimo, ma solo per un attimo, mi è sembrato di tornare nel paese nel quale ero cresciuto, e non in questo sobborgo senza identità che i politici del mio paese hanno trasformato negli ultimi trenta anni autorizzando a costruire ovunque.
Per un attimo, dicevo, mi è parso un paradiso. Poi ho pensato che la cosa che più mi manca, da un mese e mezzo a questa parte, è abbracciare mio babbo. Perché non lo abbraccio da un mese e mezzo, da prima cioè che buona parte del mondo si accorgesse che questo virus fosse un problema. E da prima che adesso questa mediocre classe politica se ne accorgesse. Perché bastava leggere i giornali - che ormai nessuno legge più - per rendersi conto che OMS aveva parlato di "emergenza globale". Ho pensato questo mentre camminavo, che non lo potevo abbracciare e che non lo stavo abbracciando da un mese e mezzo. E che da un mese e mezzo gli avevo imposto di non uscire più di casa. E che lui, in questo mese e mezzo, altro non ha fatto che andare al campo dove non c'è nessuno e tornare indietro. E altro non ha fatto che osservare - fino a quando hanno annullato tutto - le regole che gli avevo imposto quando si sentiva di uscire: almeno un metro di distanza da tutti quando era a fare le prove nel coro della parrocchia. 
Poi da dieci giorni buoni - se non di più - gli ho impedito di uscire. Con lui, invece, sto il meno possibile da un mese e mezzo perché la cronaca mi ha portato a girare ovunque: la lontananza fisica nei suoi confronti è una forma di tutela che tengo, ed è difficilissimo. Mangio dall'altro capo del tavolo, passo i piatti a distanza. Lui ha protestato una volta sola, all'inizio. Mi sono messo a urlare, lui c'è rimasto malissimo: mio babbo è un uomo dolcissimo. Mi sono sentito una merda, gli ho spiegato che era pericoloso, che chi dice che è un raffreddore non capisce un cazzo, è da Tso, malati mentali. Alla stessa stregua di chi va in giro a - e stava andando in giro - a fare aperitivi o a fare shooping oppure usciva fuori alla cazzo di cane, magari andando al mare. Stipati su un'auto per raggiungere la meta. Mi ha detto che esageravo, ho replicato che forse era così, ma non si poteva andare tanto per il sottile, io non volevo rischiare di perderlo. Anche al lavoro ho tenuto da un paio di mesi le persone a distanza, mi prendevano per pazzo. Anche fuori per strada ho fatto lo stesso.
A questo ho pensato mentre la strada saliva e stavo contravvenendo al decreto. E ho pensato che questo decreto non serve a nulla, non è efficace, è pensato male, non serve proprio: troppo tollerante con la stupidità umana. Ma indicativo di chi l'ha partorito. Va bene solo sulla carta, non nella realtà. Ho raccolto un fiore, era bello e giallo. Ho pensato che non so come si chiama, che nome ha, che anche in fatto di botanica sono ignorante, che sui libri che leggo gli scrittori sanno i nomi dei fiori, sapevano cosa fosse la natura, nominandola la apprezzavano. Ho raccolto altri fiori, alla fine erano un mazzetto, giallo d'ape.
Sotto i miei piedi la ghiaia ha fatto rumore. E ho pensato che adesso la cosa più difficile era di spiegare che avevo violato il decreto, che non l'avrebbe presa bene questa cosa, mi avrebbe rimproverato, bisogna essere uomini e non cretinetti a giro per il mondo che è già sovraffollato di cretinetti. Ho sistemato i fiori di campo accanto agli altri fiori, poi ho carezzato la tomba di mamma.
Le gambe non mi hanno retto, si sono afflosciate, sono finito con la schiena appoggiata alla colonna. E ho scoperto che babbo aveva contravvenuto al mio divieto, quello di uscire al massimo - in questi due mesi - solo per andare al campo. I fiori sulla tomba di mamma erano, in pratica, ancora vivi. E c'era la mimosa, lei che a quel fiore e a quella festa teneva tantissimo, lei che quel fiore lo metteva ovunque in casa quel giorno e vicino alla macchina da cucire, quando ancora cuciva. E sulla tavola, la sera dell'8 marzo, quando si cenava ancora tutti assieme. O trovavo la cena pronta tornando dal lavoro.
Poi, io e mamma, ci siamo messi a parlare. E ho pensato che la cosa che mi manca di più da un po' di tempo a questa parte è quella di abbracciare mio babbo.

Grazie, Simone


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