mercoledì 11 novembre 2020

PREMIO BEGGI 2020

Felice di avere vinto il "Premio Beggi 2020" con il racconto "Nella notte è tutto scuro".

Ringrazio Riccardo Prando e "La Prealpina" per il bellissimo articolo dedicato alla vittoria.




domenica 13 settembre 2020

BUON INIZIO, RAGAZZI!

 

BUON INIZIO, RAGAZZI!

Il primo giorno di scuola rappresenta sempre un’emozione.       
Si incomincia dalla sera prima, preparando lo zaino con il necessario (qualche quaderno, l’astuccio, magari i compiti svolti durante le vacanze, forse un libro); poi a letto i pensieri su quello che sarà la mattina seguente, l’ansia di ritrovare i compagni lasciati a giugno, la curiosità di conoscere i nuovi insegnanti per chi affronta il passaggio di grado.   
Qualcuno avverte una certa ansia, qualcun altro freme dalla voglia che arrivi presto mattino.     
Ed ecco che, puntuale, arriva: colazione, ci si lava, ci si veste, zaino in spalla e via, verso la scuola in autobus o accompagnati dai genitori.        
Ci sono alunni che affrontano questo momento con entusiasmo, altri meno, altri ancora con timore, qualcuno forse con noia, mentre ripensa alle vacanze ormai finite. Ma poi si varca il cancello e si ritrovano volti amici e il sorriso torna, insieme alla voglia di ricominciare insieme l’avventura.  
Ma quest’anno come sarà?   
Ansia, incertezza, senso di smarrimento, dubbi, domande inespresse. Sicuramente raccomandazioni da parte dei genitori (stai attento, non togliere la mascherina, non stare vicino ai compagni, rispetta le distanze, starnutisci e tossisci nell’incavo del gomito se hai la mascherina abbassata, non toccare le cose degli altri, disinfettati spesso le mani), le stesse che vi sentirete ripetere in classe da ogni insegnante.        
Come potrà esserci gioia in questo inizio? Ci saranno piuttosto timore e preoccupazione.       
Io vi penso, ragazzi. Penso a voi, miei ex alunni di terza, che domani farete il vostro ingresso alle superiori, in un ambiente totalmente nuovo (quali emozioni proverete?), penso ai miei nuovi studenti che passeranno dalla primaria alla secondaria e si sentiranno smarriti, e penso anche a coloro che rientreranno in una scuola che già conoscono, ma che troveranno comunque cambiata (nuovi ingressi, nuovo orario, nuove aule senza più i banchi in coppia ma divisi e distanti).   
Non potrete ritrovare quel senso di condivisione, di “comunione”, di aggregazione. Avrete la vostra postazione che non potrete cambiare, ma che vi apparterrà fino al giugno prossimo. Non ci sarà più il compagno di banco che, spesso, diventava l’amico/l’amica del cuore.        
Eppure, in tutto questo, dovrete trovare ugualmente un motivo di gioia nel venire a scuola e noi insegnanti ci saremo per fare in modo che ciò avvenga nel migliore dei modi e in sicurezza, per tutelare la salute vostra e delle vostre famiglie, nonché la nostra.     
Se resteremo uniti, pur nella distanza, ci riusciremo e arriveremo insieme in fondo a questo strano anno scolastico. Perché la scuola è importante: è il vostro futuro, il futuro degli adulti che un giorno sarete, ed è anche il nostro, che adulti siamo già.

Vi auguro un buon inizio di anno scolastico, ragazzi, ma, soprattutto, vi auguro che sia buono fino alla fine.

Vi lascio con due citazioni:

“I fallimenti non sono veri e propri fallimenti.       Sono maestri travestiti, maestri che ti guideranno verso il successo.”       
(Marcia Grad Powers, psicologa, insegna tecniche di crescita personale)

“La scuola è il nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi si preparano ad affrontarlo”.
(Malcom X, politico statunitense, attivista per i diritti umani e leader nella lotta degli afroamericani)

lunedì 10 agosto 2020

LA COMUNICAZIONE EFFICACE

 

LA COMUNICAZIONE EFFICACE

 

(appunti personali dal webinar di Luca Mazzucchelli psicologo)

Mazzucchelli sostiene che bisogna parlare al cuore dell'interlocutore, comunicando valori differenti da quelli che lui possiede.   
Per questo riporta la propria esperienza agli inizi del suo percorso di psicologo. Quando venne assunto in una comunità di giovani borseggiatori, aveva capito che non serviva dire loro che non si devono rubare i portafogli, perché era come spingerli a rubare ancora di più. A un ladro non serve sentirsi dire che non deve rubare. Provò allora a porsi in ascolto dei ladruncoli, facendosi spiegare come si fa a borseggiare. In questo modo aveva cambiato il proprio punto di vista, il proprio atteggiamento nel relazionarsi, entrando nel mondo dei ragazzi disadattati e mettendosi in ascolto. A quel punto, anche loro lo ascoltavano. All'inizio il metodo comunicativo non era efficace.       
Mazzucchelli parla della tecnica del parcheggiatore: 
ci sono due auto, una in un garage, l'altra che sta fuori ed è inutile che io voglia fare entrare nel garage l'auto che è fuori, se il garage è già occupato da un'altra vettura.  
Che cosa significa? Innanzitutto, il box rappresenta la testa delle persone e l'auto che c'è dentro rappresenta invece i valori, i pensieri, le convinzioni.    
Se uno nella propria testa ha dei valori, delle idee, delle convinzioni radicate, è inutile che io cerchi di metterci le mie (che sono rappresentate dalla seconda auto, quella che sta fuori dal box), perché sarebbe inefficace spingerli dentro, visto che l'altra testa è già occupata. Allora che cosa devo fare? Devo mettermi io per primo in ascolto di quelli che sono i valori, i pensieri, le idee del mondo che occupano la testa del mio interlocutore. Solo dopo aver ascoltato l'altro posso dire la mia e così le mie idee possono trovare uno spazio nelle teste degli altri. Non siamo noi quindi a dover imporre le nostre idee.
Una comunicazione efficace inizia molto prima del momento in cui si apre la bocca: inizia dal momento dell'ascolto di quelli che sono i bisogni dell'altro. Occorre quindi partire dalla fine, per una comunicazione efficace, ossia dobbiamo chiederci: qual è lo scopo che io mi prefiggo di raggiungere nella comunicazione con l'altro? Una volta che l’ho compreso, devo mettere in atto la strategia comunicativa. La comunicazione deve quindi mettere le persone in azione, cioè deve suscitare delle abilità, anche delle competenze, se vogliamo cambiare il mondo delle persone con cui comunichiamo, ma non è facile, anzi è impossibile. Per cambiarlo, dobbiamo fare in modo che sia l'altra persona a volerlo cambiare e questo lo possiamo fare attraverso una comunicazione efficace, quindi partiamo dalla fine, come dicevamo: qual è l'obiettivo che voglio conseguire? Una volta chiarito lo scopo, io programmo dall'inizio quello che devo fare, stabilendo la metodologia, le strategie, i contenuti e così via. Da dove parte il mio interlocutore? Me lo devo chiedere. Evitiamo anche il superfluo nella comunicazione, perché il superfluo può distrarre dal vero scopo della nostra comunicazione. Dobbiamo far emozionare la platea. Non si possono cambiare le persone, ma possiamo cercare un meccanismo per far sì che loro decidano di cambiare. Che cosa porta una persona a decidere il proprio cambiamento? Pensiamo a noi stessi: quando è stata la volta in cui abbiamo deciso per esempio di cambiare lavoro o di lasciare il nostro partner? Riflettiamo su che cosa è successo che ci ha spinti a scegliere, a prendere quella decisione. La risposta è che c’è stata un'emozione dilagante che ha parlato al nostro cuore e che ci ha portato a prendere una decisione. Bisogna parlare al cuore delle persone per aiutarle a decidere.      
Vediamo spesso la vita in bianco e nero e non siamo attori ma spettatori passivi, che ci lasciamo scivolare tutto addosso, facciamo ogni giorno sempre le stesse cose, poi, all'improvviso, per un istante, subentra una forte emozione e il film di cui siamo spettatori diventa all'improvviso a colori e allora noi diventiamo attori, ed è a quel punto che decidiamo di prendere in mano la nostra vita. Domandiamoci perché l'America ha conquistato il mondo. Non l'ha fatto per l'economia, non l'ha fatto per le guerre, non l'ha fatto per la potenza politica: l'ha fatto per Hollywood, perché Hollywood ci ha fatto emozionare, ci ha messo dentro la testa un'idea. Gli americani con i primi film dei cowboys contro gli indiani ci hanno mostrato gli indiani cattivi e i cowboys buoni, anche se non è così, ma è quello che ci hanno trasmesso attraverso le emozioni suscitate dalle pellicole.        
Ecco perché gli americani sono diventati una potenza: sono stati convincenti, perché ci hanno fatto emozionare.       
Non è la logica che cambia le persone, ma sono le emozioni.

Lasciare quindi al caso la nostra abilità comunicativa significa rinunciare allo strumento principe per avere relazioni gratificanti e a supporto dei nostri obiettivi per far sì che un'idea si diffonda, cambi il mondo della persona che ci ascolta. Se non presentiamo bene le nostre idee, non sfrutteremo il loro potenziale trasformativo sul mondo che ci circonda.
Quindi dobbiamo imparare a fare i “parcheggiatori” con gli altri. Questo non significa manipolare, ma rendere la comunicazione priva di pregiudizi e a tutti gli effetti funzionale.

L'ascolto è l'antidepressivo più potente del mondo.

Consideriamo l'etimologia della parola comunicazione: comunic-azione è un messaggio che mette la persona in azione, così come la parola form-azione: quale forma vogliamo dare a chi ci ascolta, quali abilità, che cosa devono fare dopo il nostro intervento?

Teniamo presente che se non mettiamo in azione le persone, non stiamo comunicando, ma stiamo semplicemente parlando.

Per cambiare il mondo quindi non è sufficiente far riflettere le persone: bisogna metterle in azione.

Chiarito lo scopo, all'inizio bisognerà immedesimarsi nel proprio interlocutore, guardare la vita dalla sua visuale per comprendere quello che è il suo punto di partenza, sarà così più facile mettere a fuoco la strada che dovrà compiere per comprendere la sua tesi.       
Partire dalla fine ci aiuta a capire su quali argomenti fare leva per portare il nostro interlocutore al nostro punto di arrivo.

Facciamo quindi i parcheggiatori, creiamo spazio nel box mentale del nostro interlocutore, partiamo dalla fine e immedesimiamoci in lui per comprendere con quali idee, numeri, aneddoti comporre il tragitto comunicativo da proporgli.   
Facciamolo emozionare. Non parliamo quindi alla parte logica di chi ci ascolta ma alla sua parte emotiva.

 

 

giovedì 30 luglio 2020

L'ORGANIZZAZIONE DEI SAPERI NEL NUOVO INSEGNAMENTO DELL'EDUCAZIONE CIVICA


GEO-CITTADINANZA
(appunti personali dal webinar sull'educazione civica)

La geocittadinanza deve prendere in considerazione il paesaggio, l'umanità e la consapevolezza che tutti noi facciamo parte di un territorio.    
La geografia deve intervenire per dare un contributo alla cittadinanza digitale.
Il ruolo formativo della geografia si basa sul rapporto uomini e luoghi e, in quest'ottica, la cittadinanza va intesa come rete di relazioni transcolari, conoscenza dello spazio fisico, sociale, economico e culturale.
Impariamo a essere cittadini della nostra scuola, del Comune, dell'Italia, dell'Europa, del mondo. La cittadinanza deve essere collegata alla globalizzazione. Studiare geografia per il bambino equivale a fare un percorso di cittadinanza, un percorso di apertura della mente che porta a sviluppare dei progetti e che ci vede protagonisti del nostro spazio di vita.
Alcune competenze geografiche sono fondamentali per l'esercizio della cittadinanza come l'attenzione alla disuguaglianza e l'attenzione all'inclusione (es: il migrante che collega mondi diversi).  
Le linee guida dell'educazione civica ci chiedono di calarci nel territorio per sviluppare l'appartenenza ad esso. La scuola è uno dei più importanti autori del territorio: occorre educare a una cittadinanza attiva e critica, solo così possiamo evitare la dispersione scolastica che dipende, tra le altre cose, dal fatto che la scuola si trova spesso scollegata dal territorio.
Insegnare geografia equivale a dare una visione del mondo con i suoi valori.
Gli obiettivi della geografia sono:
insegnare e analizzare i cambiamenti spaziali,       
sviluppare una visione geografica dei luoghi  
educare alla consapevolezza, alla responsabilità nella gestione delle risorse del territorio
affrontare le questioni relative agli esseri umani e agli spazi.   
Il nostro abitare è collegato ai luoghi: dobbiamo diventare consapevoli della complessità del mondo contemporaneo e per questo occorre educare alla diversità culturale, riconoscere gli aspetti spaziali anche della Costituzione Italiana.
Per esempio, il primo articolo della Costituzione punta molto sulla questione del lavoro: dobbiamo allora considerare il lavoro come locale, come collegato agli altri paesi e come opportunità di rivedere la diversità. L'articolo 9 della Costituzione tutela il paesaggio, l'articolo 17 tratta della tutela dell'ambiente, di sostenibilità ambientale, di biodiversità. Chiediamoci perché bisogna tutelare l'ambiente.
Per quanto riguarda l'educazione civica c'è una dicotomia tra disciplinarismo e trasversalità. La scuola italiana è fatta di questa dicotomia ed è una scuola fondata sulle discipline umanistiche e scientifiche e così via. Occorre invece una maggiore trasversalità, l'interconnessione dei saperi.
Da qualche tempo si programma per competenze, per Uda. L'educazione civica deve essere una materia trasversale: bisogna quindi organizzare le conoscenze nel senso della trasversalità, bisogna lavorare per insiemi, concepire le materie e soprattutto la cittadinanza per insiemi, favorendo il senso di responsabilità e di cittadinanza, non bisogna rinchiudersi nel locale, nel particolare. Le discipline devono collegarsi tra di loro, bisogna educare all'integrazione, al raccordo, all'interazione dei saperi. I ragazzi non devono conoscere tutto: è importante che sappiano gestire la conoscenza, perché l'unitarietà di un curricolo condiviso è fondamentale.
Atteggiamenti e comportamenti responsabili costituiscono un esercizio concreto di cittadinanza.
Compito della scuola è integrare il curriculum scolastico con cittadinanza: cosa contiene già il nostro curricolo? cosa va integrato? Poi occorre inserire il tutto nella dimensione progettuale del PTOF, unendo teoria, conoscenza e pratica.
Ma chi deve insegnare cittadinanza? Occorre creare un gruppo di lavoro che sia costituito da docenti di diverse discipline.    
Gli strumenti saranno l'analisi disciplinare, la gradualità, il curricolo verticale; le metodologie la cooperative learning, il service learning.
La nota del ministero del 16 luglio dice che i destinatari sono i referenti dell'educazione civica che verranno comunicati entro il 31 ottobre. Ci sarà una formazione dei docenti tutor di 40 ore, di cui 10 saranno ore di lezione. Un docente verrà formato e diventerà tutor della scuola e a sua volta formerà i colleghi. Il docente tutor terrà i contatti con la polizia, con la Croce rossa, con gli enti locali, eccetera sul territorio. Dovrà prevedere anche esempi di curricolo e realizzare la griglia di valutazione della disciplina.
Le linee guida insistono sull'insegnamento trasversale. Le materie coinvolte saranno principalmente: storia, geografia, educazione civica, informatica, scienze, economia.
A settembre ci sarà un lavoro di programmazione che tratterà i nuclei concettuali quali: lo sviluppo sostenibile, la costituzione, il diritto, la legalità, la solidarietà, l'economia, la cittadinanza digitale...
Per sviluppo sostenibile si intende l'educazione ambientale, il rispetto del benessere psicofisico nella tutela del patrimonio della comunità, l'educazione alla salute, il rispetto degli animali, la protezione civile eccetera.
Quali docenti se ne dovranno occupare? Uno o più docenti del consiglio di classe? Non necessariamente il docente del consiglio di classe sarà il coordinatore, infatti chi deve coordinare dipende dal tipo di scuola (per esempio, nelle scuole superiori, l'insegnante di diritto).
Chiediamoci che cosa inseriamo all'interno del progetto. Possono esserci delle compresenze. Il coordinamento viene attribuito a un insegnante di educazione civica per la scuola secondaria di primo grado, e la valutazione della disciplina sarà obbligatoria.
Nel tempo dedicato a questo insegnamento, i docenti, sulla base della programmazione già svolta in seno al consiglio di classe con la definizione preventiva dei traguardi di competenza e degli obiettivi/risultati di apprendimento, potranno proporre attività didattiche che sviluppino con sistematicità e progressività conoscenze, abilità relative ai tre nuclei fondamentali avvalendosi di unità didattiche di singoli docenti o di unità di apprendimento e moduli interdisciplinari. In sede di scrutinio il docente coordinatore dell'insegnamento formula poi la proposta di valutazione espressa ai sensi della normativa vigente da inserire nel documento di valutazione acquisendo elementi conoscitivi dai docenti del team o del consiglio di classe cui affidato l'insegnamento dell'educazione civica.
Ma cosa possiamo insegnare per insegnare geocittadinanza?
Possiamo trattare di Costituzione, di diritto, di legalità, di solidarietà, quali regole pensiamo di poter rispettare a scuola (diciamolo ai nostri ragazzi, chiediamo loro perché, quali sono le più semplici da seguire), inventiamo il nostro Stato e mettiamolo nella scuola. Durante il lockdown, per esempio, il nostro stato era la nostra casa, la famiglia; tornando a scuola il nostro Stato sarà la classe. Proviamo a costruire allora uno Stato: questo ci costringe a riflettere su tutti i suoi elementi, partiamo per esempio da inni e bandiere. Teniamo presente anche che c'è molta povertà geografica. Dobbiamo partire dalle conoscenze basilari, per esempio facciamo il gioco delle province e costruiamo delle carte geografiche mute, prendiamo dei tappi di bottiglia sui quali scriviamo per esempio i nomi delle province e invitiamo i ragazzi a posizionarle nei punti corretti. Possiamo anche progettare un plastico di una strada per fare poi educazione stradale, i ragazzi delle medie possono per esempio seguire dei progetti tipo "adotta un terrazzamento", si possono fare riprese con un drone, per vedere la connessione tra la società e la natura eccetera.
La carta internazionale sull'educazione geografica ci dice che lo studio della geografia aiuta le persone a capire e apprezzare come si sono formati i luoghi e i paesaggi, come interagiscono le persone, gli ambienti, quali sono le conseguenze che derivano dalle nostre decisioni quotidiane che riguardano lo spazio e il mosaico delle culture e delle società diverse e interconnesse che esistono sulla terra, per questo la geografia dovrebbe essere considerata come una componente essenziale dell'educazione di tutti i cittadini in tutte le società. L'obiettivo è quello di formare cittadini responsabili che partecipano attivamente e consapevolmente alla vita civica, culturale e sociale. L'educazione alla cittadinanza non può essere una materia come tutte le altre, qui si parla di educazione non di istruzione, allora bisogna attirare, sedurre e far emergere ciò che sta dentro le idee, le speranze, lo spirito critico, la propria specificità, perché istruire è omologare, mentre educare è far appropriare, fare esaltare quello che riguarda l'individuo.       
Bisogna lavorare per compito autentico che è compito di realtà, ponendo una situazione, cioè il problema di ampio respiro, quindi complesso, dare delle tecniche e soluzioni non definite ma aperte, utilizzare modalità di lavoro collettivo o collaborative con fondamenti pedagogici tipo l'apprendimento con le competenze che possono essere apprese e valutate solo un ambiente di apprendimento di tipo collaborativo. Importante anche l'apprendimento significativo come apprendimento relazionale che mette cioè in relazione ciclica la nostra struttura concettuale, la percezione della realtà materiale, le situazioni di apprendimento che consentano agli studenti di esplorare, discutere e costruire significativamente concetti e relazioni in contesti che coinvolgono problemi e progetti reali, che sono pertinenti all'alunno.     
In quale luogo fare tutto ciò? A scuola, a casa, altrove, tipo luoghi pubblici e privati, all'aperto oppure al chiuso. 
Chi se ne deve occupare? I docenti, che devono dare obiettivi chiari, utilizzare creatività, fantasia, bricolage, leggerezza, mentre i discenti devono avere fiducia nei docenti e curiosità di apprendere la costituzione, per esempio, il diritto, la legalità e la solidarietà. Partiamo dalle regole e dai regolamenti scolastici condivisi, differenziati per spazi e funzioni degli spazi, diamo delle regole per vivere in uno spazio: quale di queste pensiamo di poter rispettare? quali articoli ci devono essere nella vostra costituzione? Se poteste creare uno stato, quale sarebbe, come si chiamerebbe, come sarebbe organizzato? E allora creiamo l'inno, una bandiera nazionale, per conoscere lo Stato che inventiamo noi (per esempio poi, partendo sempre dalla costituzione, teniamo presente la conoscenza dell'ordinamento dello stato, delle regioni, degli enti territoriali, delle autonomie locali e delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, prima fra tutte l'idea e lo sviluppo storico dell'Unione Europea delle Nazioni Unite). Bisogna partire dalla conoscenza di dove siamo, proposta anche come gioco, come quello appunto delle province; parliamo per esempio anche delle rotte, delle storie dei migranti, dal pomodoro alla legalità, teniamo presenti discipline che possono collaborare tra loro, di argomenti come la costituzione italiana, dal locale al globale, dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo fino all'Onu, possiamo trattare la storia di Malala, collegarla con la storia, la geografia, il simbolo della lotta per l'indipendenza femminile, il premio Nobel, l'analfabetismo nell'ambito della geografia, le cause religiose, la condizione delle donne (per esempio per parlare del diritto all'istruzione).
Che cos'è invece la cittadinanza digitale?
Per cittadinanza digitale deve intendersi la capacità di un individuo di avvalersi consapevolmente e responsabilmente dei mezzi di comunicazione virtuale.
Occorre consentire l'acquisizione di informazioni e competenze utili a migliorare questo nuovo e così radicato modo di stare nel mondo.    
Dall'altra bisogna mettere i giovani al corrente dei rischi e delle insidie che l'ambiente digitale comporta e considerando anche le conseguenze sul piano concreto.
Facciamo il gioco del "Cosa succederebbe se", l'obiettivo è quello di creare nuovi scenari per il futuro a partire dal cosa succederebbe se unito ad una buona dose di fantasia applicato alle varie branche della geografia, come ad esempio la geografia politica (cosa succederebbe se la figlia o di Trump si dovesse innamorare perdutamente di King Young Un) oppure la geografia economica (cosa succederebbe se permettessimo di chiamare e vendere come made in Italy solo ciò che è prodotto completamente in Italia) o la geografia locale (cosa succederebbe in paese se dovesse chiudere il bar sport centrale) o la geografia urbana (cosa succederebbe se per precauzione dovessimo chiudere tutte le città con più di 10.000 abitanti) o la geografia regionale (cosa succederebbe se tutti i comuni di confine dovessero votare per cambiare e regione) o la geografia medica (cosa succederebbe se un nuovo focolaio covid dovesse scoppiare domani nella stazione dei treni a Bologna) o la geografia litorale (cosa succederebbe in Italia se livello del mare dovesse salire di oltre un metro) o la cartografia (cosa succederebbe se tutti i GPS dovessero perdere la bussola) o la geomorfologia (cosa succederebbe se tutti i futuri italiani una domani per pigrizia dovessero effettuare un classico salto di meandro) o la geodesia (cosa succederebbe se la terra inciampando si dovesse schiacciare ulteriormente ai poli) e chi più ne ha più ne metta.

L'Educazione alla cittadinanza consterà di 33 ore per ciascun anno scolastico che possono essere gestite come si vuole (1 a settimana o di più, concentrate in un solo quadrimestre o spalmate su entrambi i quadrimestri).

domenica 19 luglio 2020

VIVERE BENE: Libroterapia

Qui potete rivedere la puntata di "Vivere Bene" dedicata alla Libroterapia, puntata nella quale sono stata ospite (insieme allo psicoterapeuta e libroterapeuta Dottor Marco Paganini) del prestigioso salotto culturale diretto da Leandro Ungaro su Rete55, canale 16 del Digitale terrestre.

Per visionare la puntata, cliccare QUI

Sotto, alcune immagini dalla trasmissione






sabato 4 luglio 2020

IL PITTORE, di Gino Marchitelli


IL PITTORE, Gino Marchitelli, Red Duck Edizioni

Da tanto tempo non mi capitava di imbattermi in una lettura così coinvolgente, una di quelle che non ti staccheresti mai dalle pagine, che lasceresti da parte qualunque altra cosa, che dimenticheresti persino di mangiare per vedere come procederà la storia, per scorgere come andrà a finire, ma che ti dispiace sapere che finirà.  

Ho letto quasi d'un fiato il giallo ambientato a Carovigno, piccolo comune del Salento brindisino, che l'autore stesso definisce una perla, un gioiello del Sud, immerso tra il blu del mare e il verde degli uliveti. Ambientazione reale, che fa da sfondo a una storia di fantasia ma che, è sempre l'autore ad affermarlo, potrebbe anche essere realtà, potrebbe davvero accadere, in una condizione di miseria, ignoranza e disperazione, come quella che vivono i protagonisti del romanzo.
Il giallo ha inizio con un espediente letterario, rappresentato da una famiglia inglese che nel mese di Aprile si reca in vacanza nel Salento. Meravigliose le descrizioni che l'autore fa dei luoghi. Il ritrovamento da parte dei turisti inglesi del cadavere di una giovane donna sulla spiaggia dà inizio alla narrazione. Da questo momento, quelli che sembravano dover essere i protagonisti della storia escono di scena, lasciando spazio a tutt'altra realtà e ad altri personaggi. Trattandosi di un giallo, si sarebbe portati a pensare che al centro della vicenda siano gli "investigatori", in questo caso i carabinieri affiancati dal commissario milanese Lorenzi e dalla sua compagna, la giornalista di Radio Popolare, Cristina, che, giunti nella località di vacanza, si trovano coinvolti "senza volerlo" (si fa per dire) nelle indagini; ma non è propriamente così, in quanto emergono molto di più le figure di tre ragazzi, Tony lu mazzu, Rocco e Angelo, persi nel "deserto" del nulla: niente lavoro, niente titolo di studio, niente valori, i tre amici trascorrono la propria esistenza da sbandati tra droghe sintetiche, alcool, festini fatti di sesso selvaggio (a questo proposito, molto crude e realistiche le descrizioni delle scene, come la storia richiede. L'autore non usa mezzi termini, va diretto, non edulcora la pillola, ma sbatte in faccia al lettore la realtà nei dettagli, rendendola visibile, perché è così che deve esser fatto per essere credibile).
Il titolo "Il pittore" fa riferimento alla figura di un anziano pittore danese, trasferitosi in Salento, che con i suoi dipinti e la passione per la fotografia contribuirà a dare una mano alle indagini. Ma, la sua, è, in realtà, una figura marginale.     
Tra i personaggi anche due turiste tedesche. 
Mi piace sostenere che protagonista assoluto della storia sia il dramma, quello della vita che va alla deriva, quello interiore vissuto dai tre giovani, un dramma che emerge dalle pagine, magistralmente narrato dall'autore, che, a tratti, interviene come voce narrante all'interno della storia, richiamando l'attenzione del lettore sulla psicologia dei protagonisti, sulle motivazioni che li hanno portati a un'esistenza di perdizione.    
Il ritmo è incalzante, la storia trainante, i personaggi credibili, le emozioni vissute dai protagonisti diventano quelle di chi legge, la tragedia e il tormento che ne consegue travolgono letteralmente, rendendo partecipi del dramma, suscitando sentimenti contrastanti di condanna e di perdono, di pena e solidarietà.   
Una grande interpretazione da parte di Marchitelli di quello che rappresenta il dramma dell'era giovanile moderna.
Un romanzo, non solo un giallo, da leggere assolutamente.


mercoledì 24 giugno 2020

LIBROTERAPIA


LIBROTERAPIA

Ma che bella emozione, ma che bello è stato prendere parte alla trasmissione televisiva "Vivere Bene" di Leandro Ungaro!
Leandro Ungaro,
ideatore della trasmissione "Vivere bene"

Devo ammettere che non sapevo esistesse una biblioterapia o libroterapia, che dir si voglia (pur nelle sfumature di significato o piuttosto di applicazione dell'una e dell'altra), ma, grazie a lui, mi sono documentata e così ho scoperto in che cosa consiste. Non solo: mi sono resa conto di avere fatto io stessa della lettura una terapia per me, per la mia vita, sia nell'adolescenza che nell'età adulta, e ho realizzato di "fare terapia" anche con i miei alunni e di averla fatta, a suo tempo, con i miei figli.


      
E' stato bello aver portato negli studi di Rete55 la mia esperienza di lettrice, di scrittrice e di educatrice.    


Mio compagno in questa avventura televisiva è stato Marco Paganini, psicoterapeuta e libroterapeuta.   
Leandro Ungaro, ideatore del programma, è stato un perfetto ospite e  conduttore. L'intero staff è stato fantastico: professionale, preciso, puntuale. L'unico neo, se se ne può trovare uno, è stato il tempo a nostra disposizione. Avrei avuto mille altre cose da dire, ma mi sono limitata all'essenziale che spero, comunque, possa arrivare al pubblico e risultare di una certa utilità (come diceva Manzoni: il vero per soggetto, l'utile per fine, l'interessante per mezzo). Sarebbe stato bello colloquiare ancora con Leandro e Marco su questo argomento.  
Dott. Marco Paganini
psicoterapeuta e libroterapeuta
   

Seguo "Vivere Bene" da tempo, praticamente da quando la trasmissione è nata, e trovo molto interessanti le puntate, gli argomenti trattati e gli esperti che partecipano, sempre molto competenti, ragion per cui essere stata inserita io stessa nel programma per ciò che rappresento mi inorgoglisce davvero tanto.   
Non volendo lasciare in sospeso le cose che avevo da dire, ho deciso di scriverle qui, nel mio blog, per poi condividerle con Leandro, nella speranza possano risultare di utilità a qualcuno.
Non posso non introdurre l'argomento spiegando in che cosa consistono la LIBROTERAPIA e la BIBLIOTERAPIA.  
Come ha detto il Dottor Marco Paganini, la differenza è minima e spesso i due termini vengono confusi, ma la loro applicazione è differente: la libroterapia si occupa della "crescita" interiore dell'individuo, mentre la biblioterapia trova applicazione nel "campo ospedaliero", come cura dei pazienti affetti da problematiche psichiche. Entrambe mirano alla “ricerca del benessere psicologico”.        
Le radici della libroterapia affondano addirittura nell’antica Grecia, dove Aristotele credeva che la letteratura avesse effetti di guarigione. Anche gli antichi romani riconobbero l’esistenza di un rapporto tra medicina e lettura e lo sviluppo di questa tecnica è proseguito fino al XVIII° secolo, quando in Europa le biblioteche entrarono a fare parte degli ospedali psichiatrici.

Ma passiamo a vedere quali sono gli effetti benefici della lettura.     
LEGGERE: 
STIMOLA LA MENTE   
RIDUCE LO STRESS    
MIGLIORA LE CONOSCENZE
ESPANDE IL VOCABOLARIO 
MIGLIORA LA MEMORIA      
RENDE PIÙ FORTE LA CAPACITÀ ANALITICA DEL PENSIERO    
MIGLIORA IL LIVELLO DI ATTENZIONE E DI CONCENTRAZIONE       
MIGLIORA LE ABILITÀ DI SCRITTURA   
PROVOCA TRANQUILLITÀ.

Alla domanda come stimolo i miei alunni alla lettura, io rispondo così: 
Laura Veroni, pedagogista,
docente di Lettere, scrittrice
     

Faccio leggere i ragazzi, invitandoli ad una lettura espressiva, intonata (cosa che raramente avviene, preoccupati come sono di non sbagliare le parole, e che richiede molto esercizio), poi leggo io stessa brani scelti da Antologie scolastiche (argomenti: adolescenza, rapporto con i coetanei, rapporto con i genitori, rapporto con figure di riferimento; racconti sull'amore adolescenziale che li coinvolgano in prima persona, con avvio di dibattiti o stesura di elaborati scritti; lettura di poesie che tocchino i sentimenti; lettura di storie che scuotano la coscienza tipo racconti di guerra, storie vere, lettere, testi toccanti come "Se questo è un uomo". Cito libri da me letti, che mi hanno lasciato un segno, glieli racconto, cercando di affascinarli).     
Spesso faccio seguire un lavoro scritto, di interpretazione del testo, di comprensione dei personaggi e del loro punto di vista, nonché di immedesimazione. Chiedo una riflessione: se tu fossi quel personaggio, come ti saresti comportato in quella situazione? Avresti agito come lui o diversamente e perché? Questo aiuta i ragazzi a considerare non solo la propria posizione ma anche quella altrui, li porta a capire che non c'è una sola verità (la propria), ma che esiste anche quella degli altri. Con i miei studenti più piccoli metto in atto un'altra strategia: stravolgere le fiabe. Mi piace partire dalla lettura di fiabe classiche che si concludono con la frase "... e vissero tutti felici e contenti" e lasciare loro la libertà di inventare il seguito della storia. Saranno davvero tutti felici e contenti? Vi assicuro che ne escono delle belle: il principe che, dopo mille peripezie, ha finalmente sposato la sua principessa, la tradisce dopo il matrimonio e la fa soffrire (o viceversa), i ricchi diventano poveri, i figli rinnegano i genitori o scappano di casa, le coppie si scoprono incompatibili... Insomma, le loro fiabe si trasformano più in storie verosimili e adeguate al mondo reale che a quello della fantasia. Altre volte mi piace invitarli a partire dal personaggio più brutto della storia, dal cattivo e antipatico, per provare a spiegare il perché sia così. Della serie: cattivi si nasce o si diventa? Li spingo a narrare situazioni che possano avere indotto il cattivo a divenire tale. E anche qui, i ragazzi dimostrano di avere molta creatività, ma anche senso della realtà.

A chi volesse sapere che "tipi" di letture ho fatto nella mia vita, dico che da piccola non riuscivo ad appassionarmi alla lettura. Mio padre mi comprava libri di avventura (Salgari) e fumetti (Asterix), ma non c'era nulla da fare.        
Il primo romanzo che ho letto (per mia scelta) è stato "Piccole donne" di Louisa May Alcott. Per la prima volta mi sono sentita trasportare in un mondo che non era quello reale nel quale vivevo, ma uno molto più bello. Mi è sembrato di vivere la vita delle quattro sorelle March (Jo, Meg, Beth, Amy), ho sentito molto vicina a me Jo, la ragazza ribelle, divenuta poi scrittrice. Il libro, un classico della letteratura per l'infanzia, viene spesso consigliato dagli insegnanti ai ragazzi. Viene molto preso in considerazione anche dalla pedagogia, in quanto il tema principale non è solo la famiglia e come gli insegnamenti dei genitori si riflettano sui figli, bensì la crescita e la trasformazione interiore da adolescenti ad adulti. Un po' come l'altro classico, "Il piccolo principe" di Antoine de Saint-Exupery, ricco di insegnamenti per la vita non solo dei piccoli ma anche dei grandi.   
Ho scoperto poi la serie dei gialli di Nancy Drew di Carolyn Keene, che mi ha appassionata tantissimo (appena smettevo di fare i compiti, mi immergevo nella lettura).      
Durante la preadolescenza ho letto molti romanzi per adolescenti, nei quali ritrovarmi ("Marta quasi donna", per esempio).    
Poi ho cominciato con i romanzi "da grandi". Mi aveva coinvolta molto la storia di Desideria in "La vita interiore" di Moravia.   
Un romanzo che ho molto amato è stato "Cime tempestose", di Emily Bronte, ma anche "Jane Eyre" di Charlotte Bronte.   
A 18 anni mi sono appassionata a "I promessi Sposi" del Manzoni.   
Come autore ho amato molto Dostoevsky. Quelle erano tutte letture suggerite dal mio professore di lettere del liceo classico.  
Arrivata all'età adulta, ho cominciato a esplorare altre strade. Sentivo l'esigenza di conoscermi, di capirmi, di comprendere la mia interiorità e sono passata a libri quali: 


"Crescere" di Piero Ferrucci, un libro che offre numerosi esercizi psicologici di immediata e semplice attuazione, per esplorare i panorami sconosciuti della psiche, trasformare le emozioni negative, dare impulso alla propria evoluzione personale e attingere alle proprie risorse creative latenti;       
"L'Enneagramma" di Helen Palmer, che fa corrispondere la personalità degli esseri umani a nove tipi psicologici diversi, nei quali ciascuno si può riconoscere con precisione, una proposta di un viaggio attraverso le nove tipologie caratteriali di base, alla scoperta di ciò che ci porta a reagire in forma stereotipata nei confronti della vita e degli altri, nonché di ciò che può portarci alla regressione e alla malattia o alla libertà e al benessere;       
alcuni libri sui "Chakra";      
"La profezia di Celestino" di James Redfield;  
"La Psicosintesi" di Roberto Assagioli;    
e poi libri sull'aldilà, su esperienze ultrasensoriali, ma ho abbandonato presto quella strada, per tornare al romanzo.      
Ho letto i libri di Fabio Volo, rilassanti e coinvolgenti in modo leggero e disimpegnato, ma nei quali ho ritrovato aspetti della vita quotidiana che ci accomunano un po' tutti, ed è questa la formula vincente dell'autore, a mio parere: la semplicità di una vita condivisa.        
Ho letto libri meravigliosi come "Il cacciatore di aquiloni", libri sulla condizione delle donne nel mondo islamico (libri che fanno molto riflettere sulla libertà e sulla dignità delle donne).        
Tra i romanzi che ho preferito cito: "Non ti muovere" (ho pianto tanto, sono entrata nell'amore disperato tra Italia e Timoteo); "Splendore", "Venuto al Mondo", "Nessuno si salva da solo", tutti della Mazzantini.    
Di Ammaniti ho amato "Come Dio comanda", "Ti prendo e ti porto via", "Anna". Poi ho cominciato con i gialli, i thriller, gli horror. Ho letto libri di Stephen King come "La metà oscura", "The outsider" (ma non è il mio genere preferito e l'ho abbandonato presto, pur riconoscendo la genialità e la grandezza dell'autore).
Ho letto Agatha Christie e giallisti contemporanei, soprattutto stranieri (mi sono fagocitata di libri di questo genere, per trarre suggerimenti nella stesura dei miei, pertanto ne ho divorato uno dietro l'altro, dimenticando poi titoli e trame o confondendole tra loro. Ma qualcosa immagino sia rimasto, almeno spero, non fossero altro che gli insegnamenti nelle tecniche della scrittura di genere). Ho molto apprezzato autori come Dan Brown, Giorgio Faletti, Donato Carrisi (il top per me).   
Ritengo che il mio genere preferito, comunque, sia il romanzo, anche se l'ho abbandonato negli ultimi anni, indirizzandomi sul genere giallo per motivi di "lavoro". Però il giallo suscita emozioni momentanee (nei thriller e negli hard boyled, principalmente), ma non lascia nulla alla fine, nessun insegnamento, nessuna traccia interiore. Un romanzo, invece, quando è ben scritto ed è supportato da una storia convincente nonché coinvolgente, ti trascina nel suo mondo, ti porta via, ti fa sognare, ti fa amare, ti fa soffrire, ti fa condividere emozioni, sentimenti, angosce, tristezze, gioie. Capisci che non sei il solo/la sola a provare determinate cose, a vivere situazioni difficili o sgradevoli, e cerchi di trarre conforto dalle esperienze vissute da personaggi che sembrano entrare a far parte del tuo quotidiano. Pensi che, se ce l'ha fatta lui, puoi farcela anche tu. E qui il libro diventa davvero terapeutico.  
Un altro libro che ho amato molto è stato "Acciaio" di Silvia Avallone. 
Tutte quelle che ho citato sono naturalmente solo una minima parte delle letture alle quali mi sono dedicata.   
Il libro è o dovrebbe essere un compagno di viaggio nella vita di ognuno. Leggere spalanca la mente, apre orizzonti, porta a capire se stessi ma anche gli altri. Il potere delle parole è infinito.

Se dovessi consigliare letture ai ragazzi in età preadolescenziale, suggerirei i seguenti titoli:
"Camminare, correre, volare" di Sabrina Rondinelli e "Obbligo o verità" di Annika Thor, entrambi sul tema del bullismo    
"Wonder" di R.J. Palacio sull'accettazione del "diverso"    
"Anna" di Niccolò Ammanniti, sulla sopravvivenza di due ragazzini lasciati soli tra le macerie di un mondo adulto sterminato da un’influenza  
"Il giornalino di Gian Burrasca" , di Vamba    
"Il diario di Anna Frank"      
"Mio fratello rincorre i dinosauri", di Giacomo Mazzariol, sul tema della diversità (sindrome di Down)   
"L'amico ritrovato", di Fred Hulman sul razzismo contro gli ebrei      
"Alle sette del mattino il mondo è ancora in ordine", di Eric Malpass, carico di arguto umorismo. Un'escursione divertente nei territori minati del microcosmo familiare, in compagnia di un bambino.  
"Il giardino segreto", di Frances Hodgson Burnett, sul potere dell'amicizia  
"Il sentiero dei nidi di ragno", di Italo Calvino, sulla Resistenza vista attraverso gli occhi di un bambino.      
"Nelle terre selvagge", di Gary Paulsen, romanzo di formazione e d’avventura e, naturalmente, "Piccole Donne", di Louisa May Alcott, romanzo di formazione.

Dal momento che sono anche una scrittrice, vorrei concludere rispondendo a un'ultima domanda: PERCHÉ SCRIVERE?
Per me è sempre stata una necessità da un certo punto della vita in poi. A cominciare con il diario personale che scrivevo alle medie e nei primi anni delle superiori, per arrivare a scrivere lettere ai miei genitori per farmi capire (nell'età dei rapporti difficili genitori/figli). Poi è arrivata la fase della scrittura di esperienze e di emozioni. Sentivo l'urgenza di esprimere i miei sentimenti. Pertanto ho cominciato a trasporli su carta sotto forma di racconti; poi ho scritto "I ricordi di Lalla" (autobiografico, nato per narrare qualcosa di vero a miei figli, invece della solita fiaba della Buonanotte, che, comunque, non è mai mancata) e poi ho creato un sito, trasformatosi in seguito in blog, nel quale raccoglievo di tutto (anche commenti su fatti di cronaca che mi avevano particolarmente colpita). A un certo punto ho provato a partecipare ad alcuni concorsi con racconti nell'ambito sociale (Progetto "Narrativo presente") e poi nel campo del giallo (GialloStresa). Da quel momento, avendone vinti diversi, ho cominciato a scrivere libri, gialli principalmente, ma anche romanzi, nei quali ho maggiore spazio di espressione, anche se, purtroppo, è un genere che oggi attira meno del giallo.
La scrittura per me è sempre stata più terapeutica rispetto alla lettura, perché nello scrivere metto molto di me stessa.       





domenica 21 giugno 2020

Lettera d'amore... (di Amelia M.)



Ci sono lettere che emozionano profondamente, proprio come questa, scritta da una ragazza di tredici anni che, per privacy, ha preferito non indicare il destinatario.
Lei si chiama Amelia e mi ha dato il permesso di rendere pubbliche le sue parole.

Varese, 18/11/2019



       
        Cara Persona,
       
non avrei mai pensato di scrivere su carta i miei sentimenti, ma la vita è imprevedibile, ti butta in situazioni che devi saper gestire al meglio.
Non sono mai stata brava a esprimere al cento per cento ciò che provo, forse per paura di essere presa con superficialità.    
Non sono mai stata capace di controllare il mio istinto, quello che critichi spesso, vedendo i miei sbalzi d’umore e i miei scatti di ira improvvisi, che, ti svelo, hanno sempre una motivazione di base.  
Non sono mai riuscita a non perdonarti, nonostante tu mi abbia ferito spesso, nonostante tu mi abbia spinto una lama nel petto un milione di volte.
Non sono mai riuscita a chiederti scusa, quella dannata parola composta da cinque lettere che faccio fatica a formulare con te.    
Vorrei tanto che tu ti spogliassi di quella maschera che indossi ogni mattina prima di uscire di casa, vorrei tanto che tu ti spogliassi delle insicurezze che ti affliggono, vorrei tanto che non provassi vergogna per le tue lacrime, quelle che hai nascosto e che continui a nascondere.
Vorrei tanto non tremare, mentre ti racconto un pezzo di me. 
Riesci a captare quei piccoli particolari che nessuno era mai riuscito a fare, e mi spaventa, mi spaventa terribilmente, ma sto provando a chiudere un occhio per non bloccarmi.
Bloccarmi da cosa? Dal non scappare da te, che sarebbe un po’ scappare da me stessa, perché, quando si tratta di questo, sono una codarda. 
Dietro la mia freddezza c’è del dolce.   
Mi mancherà rispecchiarmi nei tuoi occhi, di quel colore strano, che mi fanno perdere il senso dell’orientamento.     
Non so cosa accadrà in futuro, ma sono pronta a scoprirlo, magari da sola o magari con te.
Chissà se le nostre strade si separeranno o resteranno collegate da quel filo sottile?
Chissà se ci rincontreremo da qualche parte, magari una sera, quando meno ce l’aspettiamo?
È tutto così incerto, è tutto così complicato e bello.
Credo nel destino e, se sarà, in qualche modo faremo.   
Spero un giorno di risentire il tuo profumo, che ormai, sa di casa.

Amelia M.



giovedì 4 giugno 2020

LETTERA ALLA TERZA E


Anni fa, ero solita concludere l'anno scolastico scrivendo una lettera alle mie classi in uscita dalla scuola media. Da tempo non lo facevo più, non so nemmeno io perché.          
Questa volta, invece, ho SCELTO di scrivere ancora e voglio farlo lasciandovi con una riflessione. 
Lasciandovi... Ci pensate? E' il nostro ultimo anno insieme. Non vi dispiace un po'? Coraggio, su la mano: chi avverte una sorta di rimescolamento dentro la pancia? Cosa sarà mai? Ansia degli esami? Timore di quello che sarà il vostro prossimo anno, di quello che sarà il vostro futuro, la vostra vita? Io vi ho accompagnati fino a qui, ragazzi miei, ora tocca a voi proseguire il vostro viaggio senza di me. Le nostre strade si separano. Fa un certo effetto, vero?
Vedete, prendere una classe, per una docente di Lettere, che trascorre dieci ore alla settimana per tre anni insieme ai suoi alunni, è un po' come prendere dei "figli" e supportarli nel loro cammino di crescita in quella che è una fase di transizione molto importante della vita di ogni individuo: il passaggio dall'infanzia all'adolescenza. Vi accogliamo bambini e vi lasciamo adolescenti. In mezzo, per tutta la durata dei tre anni della secondaria, c'è la preadolescenza, che è una fase di grande stravolgimento, in cui cambia la vostra testa e cambia il vostro corpo. Mica roba da poco!           
Alla fine di un percorso, si è soliti tirare le somme e sono certa che lo state facendo anche voi.
Che cosa hanno rappresentato questi anni, come li avete vissuti, che cosa vi porterete dietro nel tempo? I ricordi, sicuramente, ma forse (spero) anche gli insegnamenti che i vostri professori vi hanno lasciato (qualcuno più di altri, per aver trascorso con voi un maggior numero di ore).        
Sapete, io ho molta nostalgia dei miei anni della scuola media. Posso affermare con certezza che sono stati i più belli della mia vita (scolasticamente parlando): ho affrontato nuovi studi, ho imparato tante cose che hanno arricchito il mio bagaglio di conoscenze, ho avuto insegnanti che mi hanno dato tanto e che ricordo ancora con affetto, mi sono percepita crescere, ho iniziato ad affermare la mia autonomia nei confronti della famiglia, ho coltivato amicizie importanti,  ho imparato a vedere il mondo come una realtà nella quale tuffarmi per sperimentare il  nuovo, il bello carico di attese e di speranze, di progetti, di sogni per il mio futuro, che immaginavo meraviglioso. Ero nel pieno della fiducia verso la vita che mi figuravo sarebbe stata fantastica e, devo dire, che lo è stata davvero, perché ho realizzato quasi tutti i miei sogni.           
A proposito di sogni... immagino che anche voi ne avrete tanti. Sapete una cosa? Dovete crederci, crederci fermamente, fino in fondo, se volete che si avverino. Dovete mettercela tutta. E questo significa solo una cosa: ABNEGAZIONE. Non vi spiegherò che cosa significhi questa parola: lascerò a voi la scoperta. Sappiate che la vita è fatica, è impegno, è sacrificio in vista della CONQUISTA.  E la conquista è e deve essere il vostro obiettivo, se volete vivere pienamente e consapevolmente. Fatelo! Questo è il mio augurio. Ognuno di noi ha dentro di sé la forza per affrontare ciò che lo aspetta: non ignoratela. Fate di tutto per raggiungere i vostri obiettivi, non abbandonatevi all'inedia, non arrendetevi davanti alle difficoltà che ci saranno, imparate a ingoiare i bocconi amari che verranno, le sofferenze di fronte alla sconfitte: fa tutto parte del gioco. Ma, alla fine, il premio c'è. Parola di prof.   
Ma torniamo a noi...  
La Didattica a Distanza o DAD, come ci piace chiamarla, mi ha consentito di conoscervi meglio, cosa che non avrei mai immaginato. Ho scoperto persone oneste, corrette, impegnate, che hanno dato il massimo per completare questo anno straordinario (nel senso di fuori dall'ordinario, non certo di bello) e ho scoperto persone che invece non lo sono state.   
La maggior parte di voi, però, si è mostrata piena di buona volontà, ce l'ha messa tutta per superare gli ostacoli, ha rispettato le regole. Qualcuno, purtroppo, si è arreso, ha gettato la spugna, ha preferito l'inganno all'onestà, e questo mi ha rattristata davvero tanto.         
Molti di voi mi hanno resa orgogliosa di esservi stata insegnante/educatrice, pochi (fortunatamente) mi hanno delusa e hanno lasciato dentro di me un senso di amara sconfitta nel mio ruolo educante. 
Ho aperto questa lettera dicendo che ho SCELTO di lasciarvi con una riflessione e la riflessione riguarda proprio l'ABNEGAZIONE cui ho fatto cenno sopra, con tutte le parole che sono conseguite.         
Ora, però, è arrivato il momento di salutarvi.           
Auguro a tutti voi indistintamente BUONA VITA, nella speranza che possiate realizzare voi stessi al meglio, tirando fuori quel seme che SPERO ARDENTEMENTE di essere stata capace, al di là di tutto, di instillare in ognuno, anche in chi ha pensato di gettare la spugna.  

         
Non dimenticatemi.

venerdì 29 maggio 2020

LA SPERANZA AL TEMPO DEL COVID -19



"Scoprirsi scrittori ai tempi del Coronavirus", il titolo dato al concorso letterario per racconti inediti voluto dalla Scuola Secondaria di primo grado "Vidoletti" di Varese, ha centrato l'obiettivo che si era proposto: sollecitare la riflessione e la fantasia di ragazzi fra gli 11 e i 13 anni in un momento difficile, a volte persino drammatico, della loro vita e di quella di tutti. 
Il presente volume raccoglie 31 lavori scelti dalla Giuria fra gli oltre 80 vagliati in una prima fase. Gettata alle spalle l'amara esperienza della pandemia che ci ha colpiti durante il secondo quadrimestre dell'anno scolastico 2019-2020, questo lavoro a più mani rimarrà nella storia personale dei ragazzi come testimonianza di un periodo della loro adolescenza che non potranno mai dimenticare e che inoltre, come mostrano queste stesse storie, ha offerto l'occasione per riflettere sul valore della vita.


La presentazione dell'Antologia.



venerdì 22 maggio 2020

LA STRADA DI CASA


Evidentemente c'è qualcosa, nell'atmosfera del lago, che si porta dietro un carico di mistero e un'inquietudine. E bada, lettore, che non si parla di un lago in particolare, ma di tutti i laghi italiani, come se quelle acque sempre apparentemente calme, ma scure e a volte infide, fossero, a qualunque latitudine, l'ambiente ideale per immaginare delitti. Venti autori, qualcuno esordiente, qualcun altro con alle spalle una carriera letteraria di tutto rispetto, si misurano in questa raccolta con il fascino strano, a volte malato, che si sprigiona dalle rive dei laghi italiani: c'è sempre un delitto, in queste storie, un enigma da risolvere, ci sono investigatori di professione oppure improvvisati, figure che tornano dal passato o che compaiono all'improvviso per poi tornare nell'oblio. Ma un'antologia funziona quando non è semplicemente una riproduzione di motivi e un esercizio di stile: funziona cioè quando, tra le pieghe delle sue storie, si intravede e si riconosce un ambiente, un mondo, una visione. Ed è precisamente questo ciò che accade in Delitti di lago 4: tra storie di esuli russi, momenti della Seconda guerra mondiale, ville patrizie, serial killer e i sorprendenti disvelamenti che possono portare i cambiamenti climatici, in queste pagine c'è la descrizione di un mondo e di un Paese, il nostro.
(Andrea Tarabbia)   

L’antologia contiene 20 racconti gialli ambientati sui laghi Maggiore, Orta, Como, Varese, Ceresio, Trasimeno e sul lago svizzero Champex. Gli autori, che sono accomunati dalla passione per il genere giallo e per i laghi e hanno all’attivo altre pubblicazioni e vittorie in premi letterari prestigiosi, vi accompagneranno in un viaggio ideale nelle più affascinanti località dei laghi italiani.       
I diritti vengono donati all’associazione La Gemma Rara di Varese, un’associazione di la cui attività è volta a favorire lo studio e la ricerca per la diagnosi e la prevenzione delle Malattie Rare e ad attenuare i problemi di disagio sanitario e sociale che tali patologie comportano.

IL VIDEO PRESENTAZIONE DEL MIO RACCONTO, "LA STRADA DI CASA"


martedì 14 aprile 2020

UNA STANZA PIENA DI GENTE, Daniel Keyes. La mia recensione



Billy Milligan, un nome difficile da dimenticare, dopo aver letto la sua storia.     
"Una stanza piena di gente" è il titolo del libro-documentazione, scritto da Daniel Keyes, che narra la straordinaria storia di un uomo dalle molteplici personalità. Una storia vera, non un'invenzione letteraria.

Il protagonista dell'incredibile vicenda, Billy Milligan, viene arrestato il 27 ottobre 1977, nell' Ohio, con l'accusa di aver rapinato, rapito e violentato tre donne all'interno del campus universitario. Al momento dell'arresto, Billy pare disorientato, come se le accuse mossegli contro non gli appartenessero. E in parte è così, perché Billy non è una personalità unica bensì ventiquattro personalità in un unico individuo. Questo è quanto, dopo numerose indagini, stabilisce la perizia psichiatrica chiesta dalla difesa. Nella sua mente "vivono" ben ventiquattro personalità diverse, che prendono, di volta in volta, il sopravvento (escono sul posto), parlano tra loro, agiscono e spingono Billy a comportarsi in maniera imprevedibile.    
Tutto ha inizio quando Billy è solo un bambino di otto anni. Il padre muore, la madre conosce un altro uomo e si risposa. Il patrigno di Billy è un uomo violento, abusa di lui e gli intima di tacere, altrimenti lo ucciderà, lo seppellirà nel granaio e dirà alla madre che è scappato di casa, perché la odia. L'uomo instilla nel bambino la paura e il senso di colpa e ottiene il suo silenzio. L'angoscia e il terrore delle violenze reiterate per anni disgregano la personalità del piccolo Billy.

Leggendo la storia personale di Milligan, non si può fare a meno di rimanere sgomenti, inizialmente increduli, come increduli sono stati gli psichiatri chiamati a esaminare questo caso "straordinario", come lo sono state tutte le persone che hanno avuto rapporti con Billy.
Le personalità sono emerse sul posto una volta, all'insaputa le une delle altre per molto tempo, fino a quando hanno cominciato a interagire tra loro, stabilendo addirittura un codice di comportamento (chi fa cosa). Personalità completamente diverse, maschili e femminili, di età diverse, di diverse nazionalità, di competenze differenti (Reagen e Arthur le più forti, probabilmente, la prima irruenta, impulsiva, a volte violenta, la seconda pacata, moderata e moderatrice delle altre). E così, nell'arco della propria vita, Billy Milligan si è trasformato nell'uomo  che parla slavo e che difende le altre personalità, nel raffinato gentiluomo dalla parlata inglese, nel bambino spaventato, nella ragazza lesbica (Adalana), negli indesiderati (le personalità violente che mettevano a repentaglio la vita delle altre), ecc...      
Billy passava dal bambino bravissimo nel risolvere i problemi di matematica a quello che non capiva niente della materia, eseguiva disegni meravigliosi, degni di un pittore professionista, andava in moto in modo spericolato e subito dopo mostrava di non saper nemmeno come salire in sella.    
Immaginiamo l'angoscia, per non dire il panico, che si impossessava di lui, nel momento in cui una personalità usciva sul posto e lo portava a fare un viaggio in aereo verso una meta lontana e, giunto nel paese straniero, usciva sul posto un'altra personalità, ignara di dove si trovasse e perché.
Ventiquattro personalità...

Simulazione, inganno, strategia sostenevano molti che volevano la condanna al carcere di Billy. Finzione per ottenere l'infermità mentale e non essere condannato. Ma qualcuno ha capito che Billy non era una persona ordinaria, non uno qualunque. Preso in carico da un istituto, è stato seguito da psichiatri che hanno conquistato la sua fiducia e hanno lavorato per ricostruire la sua persona, ricomponendo le varie personalità in una sola, quella del Maestro, il vero Billy. Ma qualcuno sosteneva l'urgenza di ricoverarlo in un istituto di massima sicurezza, in isolamento, in quanto pericoloso per se stesso e per la società e così il lavoro faticosamente compiuto da chi credeva in lui e nella possibilità di guarirlo è andato in fumo. Circa due anni di maltrattamenti e torture, di isolamento hanno  nuovamente disgregato ciò che di Billy si era ricomposto.  
Milligan ha raccontato la propria storia a Daniel Keyes che ha dato vita a questa biografia eccezionale.     
 
Oggi, grazie all'intervento dei medici che lo avevano aiutato e a un giudice che ha riesaminato il suo caso, Billy è tornato nell'istituito che aveva lavorato per la ricostruzione della persona.
Non si può fare a meno, dopo aver letto questa incredibile storia, di provare empatia, a tratti pena, per quello che è stato definito un criminale, per quanto la vita sia stata ingiusta e crudele con lui sin dall'infanzia. Non si può non pensare a Billy come a una vittima, un bambino per il quale la fuga dalla realtà è stata l'unica arma di sopravivenza.
Una storia sconvolgente, che ci mostra cosa può la mente di un uomo.