Un grosso problema di noi insegnanti è la
gestione degli alunni cosiddetti DIFFICILI. Si potrebbero spendere pagine e
pagine sull’argomento. Quanti sono gli anni di insegnamento di ognuno di noi? E
quanti alunni abbiamo incontrato nella nostra carriera? Quante le classi
cosiddette MODELLO, in cui non fosse presente almeno un soggetto disturbante?
Poche…forse nessuna.
Più
passano gli anni, più mi rendo conto che il fenomeno è in aumento. E questo è
un segnale inequivocabile di qualcosa che non va, tipico dei nostri tempi. La
situazione è quanto mai preoccupante, dal momento che i ragazzi di oggi
saranno gli adulti di domani e saranno loro gli artefici principali della
società, gli attori del mondo. Che cosa dobbiamo fare, allora? Come insegnante,
mi sento chiamata in causa e coinvolta in prima persona e così pure come
genitrice. Sento che ho delle responsabilità verso la società, verso tutte
quelle famiglie che mi affidano i loro figli, ma, prima di tutto, verso i
miei figli. Eppure… mi sento DISARMATA di fronte a questo difficile
problema, sento che mi mancano gli strumenti per risolverlo: ho bisogno di armi
vincenti, ma non so quali siano. O meglio, credevo di saperlo e, forse,
qualcuna di queste lo è, ma non a sufficienza per abbattere questo ostacolo.
Un
alunno provoca in continuazione l’insegnante: lo fa con frasi per nulla
inerenti l’argomento che si sta trattando; lo fa con parole forti, audaci; lo
fa con occhiate di sfida; lo fa rivolgendosi anche ai compagni, stuzzicandoli,
minacciandoli, mettendoli in difficoltà. Lo fa in continuazione e fino
all’esaurimento delle persone che convivono insieme a lui nella stessa aula. E’
talmente abile, che riesce a coinvolgere altri soggetti del gruppo classe,
riesce a SEDURLI e lo fa talmente bene, che quelli nemmeno si accorgono di
andargli dietro e fare il suo gioco; lo fa talmente bene, che anche
l’insegnante cade nella trappola e fa a sua volta il suo gioco, cadendo in una
spirale senza uscita. Ed ecco innescata la dinamica negativa del gruppo, dove
tutti i rapporti ruotano attorno a quella figura “deviante”, che diviene
PROTAGONISTA ASSOLUTA della relazione. Conseguenza: IL CLIMA DIVIENE
INSOSTENIBILE, LE FORZE SI ESAURISCONO, IL LAVORO SUBISCE UNA BATTUTA
D’ARRESTO, IL RENDIMENTO SCOLASTICO DELL’INTERO GRUPPO CLASSE TENDE A
RETROCEDERE (salvo rare eccezioni), SI SCATENANO DISSAPORI E INIMICIZIE TRA I
COMPAGNI e la situazione sfugge letteralmente di mano.
Ho
visto e vissuto situazioni analoghe diverse volte e, nel mio piccolo, sono
riuscita a fare ben poco, lo ammetto. RECUPERARE UN SOGGETTO DIFFICILE
E’ DIFFICILE! MA E’ UN NOSTRO DOVERE. Non possiamo arrenderci e
lasciare l’elemento in questione a se stesso, così come non possiamo dire a noi
stessi CHE CI PENSINO GLI ALTRI, la famiglia, per esempio. SPETTA ANCHE A
NOI, COME EDUCATORI DELLA SOCIETA’ DEL FUTURO INTERVENIRE!!!
COME?
Ecco il punto.
Sono
state messe in atto diverse strategie, tipo il coinvolgimento dell’alunno in
attività extracurricolari all’interno dell’ambiente scolastico, quali, ad esempio,
giardinaggio, attività manuali, giochi al computer, attività musicali, disegno…
Altri
tentativi vengono fatti con l’intervento di psicologi o pedagogisti o,
comunque, operatori sociali. Ma qui, spesso, vengono sollevate obiezioni da
parte delle famiglie: non tutti accettano che il proprio figlio entri in
contatto con tali figure. Inoltre, si incontrano spesso resistenze anche da
parte degli stessi ragazzi a contattare gli esperti dello sportello
psicologico, in quanto temono di passare per “malati” o “deboli” o
“problematici” agli occhi dei compagni e degli stessi professori.
Più
opportuna risulterebbe, allora, una sorta di TERAPIA DI GRUPPO. Una terapia che
coinvolgesse l’intero gruppo classe, agendo così sulle dinamiche interne allo
stesso. Ecco, quindi, la positività della presenza di uno psicologo o, meglio
ancora, di un pedagogista (definizione che fa meno paura ai ragazzi e alle
famiglie), che intervenga con regolarità, con scadenza quindicinale o
mensile, a seconda della “gravità” dei casi, sottraendo un’ora alla didattica
per svolgere un intervento di RECUPERO generale dei singoli e dell’intera
classe.
Da
noi, tali interventi si svolgono da qualche anno, con un discreto successo di
partecipazione da parte degli alunni. Mentre a Bisuschio è presente una
psicologa che “riceve” gli alunni singolarmente, a Cuasso disponiamo della
figura di una pedagogista che affronta insieme all’intera classe le
problematiche legate alla crescita.
Durante
tali sedute, l’insegnante responsabile della classe rimane fuori, affinché i
ragazzi si sentano liberi di esprimersi e si comportino spontaneamente, senza
il timore di un giudizio da parte del docente, cosa che risulterebbe
decisamente controproducente.
Il
mio pensiero, a volte, corre anche a noi insegnanti: a me personalmente non
dispiacerebbe essere direttamente coinvolta in qualche “seduta”. Troverei
positivo coinvolgere il gruppo docente e il gruppo discente in una terapia
comune, laddove emergessero difficoltà di relazioni interpersonali tra le
parti, perché, a mio avviso, non è sempre detto che sia necessario tenere
discinte le due categorie. Se io docente ho difficoltà nel rapportarmi con un
alunno o un alunno ha difficoltà a rapportarsi con me, perché non seguire una
linea di condotta comune, alla ricerca di un punto d’incontro? Credo che, a
volte, sia inevitabile da parte nostra, cioè da parte del mondo adulto,
avvicinarsi al mondo degli adolescenti, magari ricordandoci che siamo stati
ragazzi anche noi, un tempo, e che, proprio allora, ci sentivamo incompresi dai
grandi, esattamente come ora capita a loro di sentirsi incompresi da noi.
Laura Veroni
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