domenica 10 dicembre 2017

Verso l'autodistruzione



Stroncato da infarto in piazza Castello: attorno continuano le acrobazie in skate dei ragazzini.
E' il titolo di un articolo apparso sul quotidiano LA STAMPA di Torino.
Indignati per l'indifferenza dei ragazzini che continuano le loro acrobazie sugli skate. Questa la reazione dei lettori.      
Ho letto la notizia ieri in tarda mattinata sui social. Commento o non commento?, mi sono chiesta. Ho preferito lasciar cadere la cosa, per evitare di "scivolare" nel già detto, nel già ripetuto, nel "come sopra". Ma il pensiero è rimasto lì, finché ho deciso di dire anch'io la mia. Parto subito con l'affermare che sono rimasta anch'io scandalizzata dall'atteggiamento dei ragazzi, ma poi mi è venuto quasi da prendere le loro difese e sapete perché? Perché non è colpa loro, se sono rimasti indifferenti davanti a un uomo morto. E non è nemmeno colpa della società, questa entità così astratta sulla quale è facile riversare la responsabilità, giusto per lavarsene le mani: è colpa nostra. Ci siamo dentro tutti, chiamati a rispondere in prima persona di quello che sta succedendo in questo mondo che sta andando verso l'autodistruzione. Se non siamo noi adulti a educare i nostri figli a casa, in primo luogo, e a scuola in quanto nostri alunni, in seconda battuta, se non siamo NOI, che ci chiamiamo ADULTI,  e che di fatto lo siamo, a far capire il valore della vita a chi viene al mondo dopo di noi, come fanno i nuovi nati a comprendere, a provare empatia, a mettersi nei panni altrui, a soffrire insieme (leggi: provare compassione)? Io sono cresciuta con un padre e una madre che mi hanno trasmesso l'amore per il prossimo, il rispetto per la vita in ogni sua forma e gliene sono grata, perché oggi mi ritrovo a essere una donna adulta che ancora si commuove davanti a uno spettacolo della natura, davanti a un bimbo seduto nel carrello del supermercato mentre mangia un biscotto e lo guarda come se quello fosse il bene più prezioso che la vita gli abbia elargito; sono una donna che piange davanti a un'immagine trasmessa dal TG, perché soffre della violenza esercitata dagli uomini sui propri simili, una donna a cui viene da piangere leggendo in classe una poesia che emoziona. Il mio cuore pulsa insieme a quello del mondo e soffro per le sofferenze altrui, mi commuovo e provo empatia, entro nel sentire del prossimo, perché così mi è stato insegnato sin da bambina, perché ho avuto esempi positivi davanti, perché mia madre aiutava gli altri senza mai tirarsi indietro e pure mio padre. Ma i miei genitori avevano vissuto la guerra, anche se erano solo bambini, all'epoca del secondo conflitto mondiale. Un'infanzia violata la loro. Mia madre era rimasta orfana di padre, fucilato dai nemici, ed era cresciuta in orfanotrofio; mio padre aveva conosciuto la miseria e il dolore del suo tempo. E avevano imparato ad amare la vita, a rispettarla. Mi hanno cresciuta seminando questo amore con l'esempio, quello che molti adulti di oggi non sono più capaci di offrire.  
I genitori sono sempre più stressati, lavorano tutto il giorno e si vedono costretti a lasciare i figli con i nonni (e questa è una fortuna: benedetti siano i nonni!) o con la baby-sitter di turno. Ma ce ne sono molti che affidano i minori a se stessi (leggi: li lasciano soli). Come trascorrono il tempo questi "orfani" moderni? Davanti alla TV e, peggio ancora, in Internet, la baby-sitter per eccellenza del nostro tempo. Quale educazione potrà mai venire da uno schermo utilizzato senza filtri? Oggi tutto è alla portata di tutti. I nostri ragazzi navigano e scoprono il mondo. Ma quale mondo? Un mondo fatto di  brutture, di violenza, di odio e di squallore. In Internet circolano filmati orribili che andrebbero censurati non solo per i ragazzi ma anche per gli adulti. Invece no, sono lì, a disposizione. Basta un clic del mouse.        
Ne parlavamo questa mattina il mio amico Franco e io. Mi raccontava di un video di fronte al quale è rimasto impietrito, senza nemmeno avere la forza di spegnere o di staccare gli occhi dallo schermo. Era un video in cui un uomo e una donna venivano aggrediti da un gruppo di ragazzi che li prendevano a calci, saltandogli sopra con i piedi, con una violenza inaudita, li massacravano di botte, poi li gettavano in una fossa e ancora giù botte e calci, al punto da renderli totalmente incapaci di reagire. Poi prendevano delle fascine e gli davano fuoco. E c'erano un pubblico attorno alla fossa, a guardare, a godersi lo spettacolo. I due poveracci (poveri Cristi, consentitemi l'espressione) prendevano fuoco senza riuscire nemmeno a muoversi. Questo racconto mi ha sconvolta. Ma come si può essere così IRRISPETTOSI verso la vita? Come??? Vorrei urlare tutta la rabbia che mi esplode dentro, di fronte a questa mostruosità che fa della violenza uno spettacolo. SPETTACOLO: è questa la parola chiave. Oggi il web ci ha reso tutti attori e al contempo spettatori. Si filmano gli stupri e si mettono subito in rete; si filma un pestaggio, un atto di bullismo e subito il video viene postato e diventa virale. Un uomo sta morendo: viene filmato e dato in pasto ai media. Ma dov'è finita la dignità dell'essere umano, dov'è finito il RISPETTO per la vita e la sua sacralità, dov'è finito il CUORE dell'uomo? E, mi domando, dove andremo a finire?  
I nostri figli, i nostri ragazzi, i nostri alunni stanno crescendo con questi esempi, senza che nessuno filtri i messaggi che il web propina, senza che nessuno spieghi loro che è male quanto vedono e che nemmeno dovrebbero vedere (la maggior parte delle volte, i genitori nemmeno sanno).      
E, allora, perché ci stupiamo se dei ragazzi continuano ad andare sullo skate davanti al corpo di un uomo morto? E' già tanto che non ci saltino sopra, usandolo come trampolino. Ma, davanti a tutto ciò, io mi chiedo che cosa si possa fare. E purtroppo non trovo una risposta.   
E rimpiango il tempo passato, quello in cui la vita era più semplice e genuina, in cui non c'erano tutte le comodità che ci sono oggi, in cui c'era il gusto dell'attesa, in cui si conosceva il significato della parola sacrificio, in cui si apprezzava anche la fatica per raggiungere il risultato, perché le cose te le dovevi guadagnare con il sudore e niente era dovuto, ma sai che soddisfazione dopo!        
Non invidio affatto le nuove generazioni che non hanno conosciuto nulla di tutto questo.       
Ma quando, mi chiedo, è cominciato il declino? Perché ciò che doveva esserci di aiuto (la tecnologia), servirci per migliorare, altro non ha fatto se non portare a un peggioramento? Dov'è quel progresso tanto sognato un tempo? Il mondo si è davvero evoluto?
La mia è stata una generazione cresciuta a pane e Nutella a merenda (una della poche cose buone che ci sono ancora oggi, alla faccia dell'olio di palma), i  bambini di ieri correvano nei prati, giocavano in cortile, facevano il bagno nelle acque limpide del lago di Varese, le domeniche d'estate. La gente era più serena, i problemi si risolvevano parlando, si comunicava davvero. Si diventava grandi cadendo e sbucciandosi le ginocchia, prendendo castighi e sgridate sia a casa che a scuola, si imparava ad affrontare le difficoltà, non evitandole o trovando qualcuno cui demandarne la soluzione.      
Era tutto così diverso... E sapevamo apprezzare la vita.


giovedì 7 dicembre 2017

Riccardo Prando CONTRO LA SCUOLA




Riccardo Prando, giornalista, scrittore e insegnante, intitola la sua ultima fatica, "Contro la scuola". Beh, che dire? Titolo sicuramente in grado di catturare l'attenzione. Di chi? Insegnanti, in primis, così infastiditi (per non dire incattiviti) dalle continue riforme del sistema scolastico, sulle quali stenderei un velo pietoso; studenti - "Evvai, prof!", parrebbe di sentirli acclamare le contestazioni del docente - ; genitori, che sicuramente si porranno un interrogativo davanti a un titolo del genere. Fa scalpore - mi si passi il termine forte - che un insegnante possa schierarsi contro la scuola. "Che fa, sputa nel piatto in cui mangia?", potrebbe domandarsi qualcuno. E se il piatto fosse indigesto? Se non contenesse cibo genuino bensì avariato? Chi si sentirebbe di mangiare forzatamente qualcosa che potrebbe nuocere alla salute? Parlo di salute mentale (stress), ma anche fisica, dal momento che il mestiere dell'insegnante è risultato essere uno dei più usuranti, secondo le statistiche epidemiologiche (alta incidenza di tumori dovuti all'abbassamento delle difese immunitarie, causato dallo stress mentale di cui sopra) - si vedano le dichiarazioni di Tito Boeri,  Professore ordinario di Economia del Lavoro, o si legga "Pazzi per la scuola", il burnout degli insegnanti a 360°, di Vittorio Lodola D'Oria -, scientemente ignorati dal sistema politico, nonché dall'opinione pubblica che accetta in modo acritico i pregiudizi sulla professione (i docenti non fanno niente, hanno tre mesi di vacanza all'anno, lavorano solo 18 ore a settimana ecc...) -.          
Leggendo il libro del collega Prando, non ho potuto fare e meno di trovarmi d'accordo con lui su numerosi passaggi. Riccardo ha steso quello che Davide Rondoni ha definito una sorta di Zibaldone, un insieme di pensieri focalizzati sulla scuola e su quello che dovrebbe essere il suo fulcro e che forse non lo è poi più tanto: l'educazione dei ragazzi. Ciò che lo scrittore contesta non è la scuola come ambiente nel quale si incontrano due libertà (docente e discente), bensì tutta la burocrazia che ruota attorno a questo nucleo, al punto che arriva a soffocarlo e finanche a snaturarlo. Prando grida più volte e a gran voce: "Lasciatemi fare il mio lavoro, lasciatemi insegnare!". E' in classe per questo, non intende "rubare" i soldi allo Stato - come sottolinea lui stesso - facendo altro da quello che è stato chiamato a fare nel momento in cui ha firmato un contratto di assunzione ormai trent'anni fa. E invece pare che la catasta di scartoffie, che oggi investe la figura del docente, impedisca alla fine di svolgere la propria missione. Già, perché ciò che noi insegnanti siamo chiamati a fare è educare, nel senso di tirar fuori (dal latino: e + ducere) ciò che ogni individuo ha insito in sé (attitudini, capacità, competenze, per usare un termine che va tanto di moda oggigiorno) e insegnare, nel senso di metter dentro (il seme della conoscenza ma non solo quello). La nostra non è una professione come le altre, siamo veramente missionari. L'insegnante è colui cui le famiglie affidano i propri figli affinché li aiutino a crescere, ma è anche colui cui lo Stato affida i futuri cittadini, coloro che porteranno avanti la società del domani. Il nostro è un compito di grande responsabilità.  
Prando denuncia molte situazioni negative all'interno del sistema scolastico che è sempre più concentrato sulla forma e sempre meno sulla sostanza; elenca tutti i moduli che ci troviamo ogni anno a dover compilare - PDP, PEI, CERTIFICAZIONI DI COMPETENZE, SCHEDE, PROGRAMMAZIONI, PROGETTI  ecc. - i corsi di aggiornamento cui dobbiamo sottoporci, tutti di carattere tecnico - uso della LIM, uso delle TIC ecc. - mai orientati alla disciplina di insegnamento, le infinite riunioni nelle quali si parla ormai di tutto, fuorché degli alunni (non è sempre così, per fortuna, perché c'è spazio anche per parlare di loro, uno spazio molto limitato rispetto al passato, purtroppo). Regolamenti, patti educativi, certificazioni, moduli, modelli informatici e chi più ne ha più ne metta. Un tutto che allontana sempre più dal cuore dell'insegnamento in senso stretto, per spaziare altrove, perdendo di vista ciò che è veramente importante: la relazione con gli alunni.  
Mi piace una frase che l'autore di questo libro scrive nell'ultima pagina, quella del Post Scriptum: L'ho scritto, perché più scorrono le generazioni e più mi sembra di ravvisare negli occhi dei miei alunni la disperazione di chi non trova un senso alla fatica di studiare. Che è poi un frammento della fatica decisiva di vivere.
Il libro, 200 pagine di "sfogo", si legge velocemente, grazie a uno stile semplice e diretto. Non mancano, al suo interno, alcuni contenuti per così dire "leggeri", in cui l'autore narra episodi di vita scolastica con i suoi allievi, altri che inducono a riflettere sulla fragilità dei nostri ragazzi, troppo difesi dai genitori che cercano di spianare loro la strada (qualcuno definisce i genitori moderni genitori spazzaneve), altri ancora che colgono la disperazione di alunni che vivono una solitudine interiore per i più svariati motivi.       
"Contro la scuola" è un libro adatto a tutti, ma credo che solo chi vive questa istituzione dal suo interno possa comprenderlo fino in fondo, soprattutto se crede ancora nella propria missione.