mercoledì 5 marzo 2014

LA GRANDE BELLEZZA

LA GRANDE BELLEZZA
di Paolo Sorrentino

Tutti ne parlano...



Premio Oscar come miglior film straniero.     
Dopo averlo visto mi sono posta una domanda: dov'è la grande bellezza?

Premesso che non sono una critica cinematografica, esprimo solo quello che la visione mi ha suscitato.     
La prima cosa che potrei dire è depressione, la seconda non senso.     
Questo per quel che concerne i contenuti. Ho trovato, invece, molto belle le atmosfere, le musiche, quei cori iniziali, che ritornano di tanto in tanto, e che trasportano in una dimensione quasi spirituale, fanno pensare alla morte, al momento del trapasso, almeno di quello che io mi immagino essere il trapasso.
Sarà per quello che, all'inizio, il giapponese muore? Me lo chiedo ancora adesso. Solitamente in un film, così come accade esattamente in un libro o comunque in una storia, ogni azione/scena/evento ha un suo significato. Ho imparato, scrivendo, che non devono esserci fili sospesi, mai. Invece ne "La Grande Bellezza" ce n'è qualcuno. La morte del giapponese, all'inizio, è uno di quelli. E' comunque ben collocato, accanto all'immagine delle coriste e della solista, con quelle voci così incisive. Belle dunque le atmosfere, belle le luci, i chiaroscuri, le ombre, il buio dominante in molte scene.
Non amo particolarmente i film lenti. E questo è lento. Ma la sua lentezza porta volutamente (suppongo) a spostare l'attenzione sui dialoghi e sui monologhi. Mi è piaciuto molto il momento in cui l'attore protagonista, Toni Servillo, elenca la nullità della vita di una delle ospiti (che si autodefinisce una "donna con le palle") della terrazza romana, che esalta il proprio impegno civile (e non solo). La demolisce in poche parole, mettendola di fronte al suo fallimento. E lì ho pensato a tutte quelle persone che, per vivere, devono credere di avere fatto qualcosa di buono, di utile, se non per gli altri, almeno per se stesse. <<Sei una disperata come tutti noi>>, dice Servillo. E l'abbandono della discussione e della scena da parte di lei la dice lunga.    
La disperazione nella vana ricerca di un senso da dare alla propria esistenza, questo è il messaggio che ho colto del film, il fingere di essere qualcuno, di contare qualcosa, per dare un senso a se stessi. Inutile lotta, meglio la resa alla consapevolezza del non valore: questo è quello che il protagonista incarna, scrittore "fallito", ma soprattutto ESSERE UMANO FALLITO. Tutti i personaggi si affannano nella ricerca del divertimento, del piacere, dello straordinario, per provare emozioni che diano significato al proprio esistere, nell'assenza di valori. Tutto quello che è vita viene disprezzato o non riconosciuto. I personaggi sono negativi (il figlio della Villoresi, imprigionato in una sorta di delirio; la Ferilli, che non ha una direzione e che, malata, muore; il mago, che deve fare sparire la giraffa, mentre Servillo gli chiede di fare sparire anche lui, perché meglio sparire, non esistere, che esistere così; i nobili in prestito, che proclamano la loro rettitudine morale e intellettuale, ma poi si prestano a vestire i panni di altri, dietro lauto compenso; Verdone che abbandona, torna al paese, perché Roma, la grande  Roma, lo ha deluso, non gli ha dato nulla in trent'anni e oltre di vita vissuta là; la disillusione dei giovani e non solo, storditi dalla droga; l'annullamento di sé...).  
Due figure si distaccano da tutto il resto: l'attrice anticonformista, che si spacca la testa contro il muro, e la bambina, che deve dipingere per dare lustro e soldi alla famiglia e non può vivere la sua dimensione (vorrebbe giocare, fare quello che fanno i bambini "normali"). Sono entrambe disperate, congelate in un ruolo che non le rappresenta davvero ed entrambe crollano, l'attrice durante l'intervista, la bambina dietro le pressioni dei genitori. Tutti gli altri, assurdi spettatori delle loro esibizioni. Solo la Ferilli mostra un briciolo di umanità, di empatia e dice a Servillo, suo accompagnatore alla festa in cui la bambina pittrice si esibisce come un fenomeno da baraccone: <<Ma hai visto? La bambina piangeva!>>. Lo fa lei, forse perché consapevole della vita, visto che la sua sta volgendo al termine.        
Belle alcune immagini, belli gli interni, le statue, le ville, i giardini, la Roma notturna, il Colosseo in sottofondo. La grande bellezza è però solo nell'arte, non negli uomini. Roma è la grande bellezza che gli uomini non sanno vivere e bruciano così la propria esistenza, nel non senso e nella distruzione di se stessi.
Film dissacratore di valori anche religiosi (la suora dal guru della chirurgia estetica, la suora e il prete al ristorante, il prete a cena che sfodera le sue ricette, ignorato dai commensali, la suora santa che sputa sentenze di banali verità come fossero verità assolute e mai dette), incarna un che di felliniana reminiscenza.      
Ma la domanda resta: dov'è la grande bellezza?

1 commento:

  1. cara Laura ma la grande bellezza è proprio in quello che hai detto! Per me è un film geniale decadente e molto originale. ..
    Saluti
    FB

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