giovedì 7 dicembre 2017

Riccardo Prando CONTRO LA SCUOLA




Riccardo Prando, giornalista, scrittore e insegnante, intitola la sua ultima fatica, "Contro la scuola". Beh, che dire? Titolo sicuramente in grado di catturare l'attenzione. Di chi? Insegnanti, in primis, così infastiditi (per non dire incattiviti) dalle continue riforme del sistema scolastico, sulle quali stenderei un velo pietoso; studenti - "Evvai, prof!", parrebbe di sentirli acclamare le contestazioni del docente - ; genitori, che sicuramente si porranno un interrogativo davanti a un titolo del genere. Fa scalpore - mi si passi il termine forte - che un insegnante possa schierarsi contro la scuola. "Che fa, sputa nel piatto in cui mangia?", potrebbe domandarsi qualcuno. E se il piatto fosse indigesto? Se non contenesse cibo genuino bensì avariato? Chi si sentirebbe di mangiare forzatamente qualcosa che potrebbe nuocere alla salute? Parlo di salute mentale (stress), ma anche fisica, dal momento che il mestiere dell'insegnante è risultato essere uno dei più usuranti, secondo le statistiche epidemiologiche (alta incidenza di tumori dovuti all'abbassamento delle difese immunitarie, causato dallo stress mentale di cui sopra) - si vedano le dichiarazioni di Tito Boeri,  Professore ordinario di Economia del Lavoro, o si legga "Pazzi per la scuola", il burnout degli insegnanti a 360°, di Vittorio Lodola D'Oria -, scientemente ignorati dal sistema politico, nonché dall'opinione pubblica che accetta in modo acritico i pregiudizi sulla professione (i docenti non fanno niente, hanno tre mesi di vacanza all'anno, lavorano solo 18 ore a settimana ecc...) -.          
Leggendo il libro del collega Prando, non ho potuto fare e meno di trovarmi d'accordo con lui su numerosi passaggi. Riccardo ha steso quello che Davide Rondoni ha definito una sorta di Zibaldone, un insieme di pensieri focalizzati sulla scuola e su quello che dovrebbe essere il suo fulcro e che forse non lo è poi più tanto: l'educazione dei ragazzi. Ciò che lo scrittore contesta non è la scuola come ambiente nel quale si incontrano due libertà (docente e discente), bensì tutta la burocrazia che ruota attorno a questo nucleo, al punto che arriva a soffocarlo e finanche a snaturarlo. Prando grida più volte e a gran voce: "Lasciatemi fare il mio lavoro, lasciatemi insegnare!". E' in classe per questo, non intende "rubare" i soldi allo Stato - come sottolinea lui stesso - facendo altro da quello che è stato chiamato a fare nel momento in cui ha firmato un contratto di assunzione ormai trent'anni fa. E invece pare che la catasta di scartoffie, che oggi investe la figura del docente, impedisca alla fine di svolgere la propria missione. Già, perché ciò che noi insegnanti siamo chiamati a fare è educare, nel senso di tirar fuori (dal latino: e + ducere) ciò che ogni individuo ha insito in sé (attitudini, capacità, competenze, per usare un termine che va tanto di moda oggigiorno) e insegnare, nel senso di metter dentro (il seme della conoscenza ma non solo quello). La nostra non è una professione come le altre, siamo veramente missionari. L'insegnante è colui cui le famiglie affidano i propri figli affinché li aiutino a crescere, ma è anche colui cui lo Stato affida i futuri cittadini, coloro che porteranno avanti la società del domani. Il nostro è un compito di grande responsabilità.  
Prando denuncia molte situazioni negative all'interno del sistema scolastico che è sempre più concentrato sulla forma e sempre meno sulla sostanza; elenca tutti i moduli che ci troviamo ogni anno a dover compilare - PDP, PEI, CERTIFICAZIONI DI COMPETENZE, SCHEDE, PROGRAMMAZIONI, PROGETTI  ecc. - i corsi di aggiornamento cui dobbiamo sottoporci, tutti di carattere tecnico - uso della LIM, uso delle TIC ecc. - mai orientati alla disciplina di insegnamento, le infinite riunioni nelle quali si parla ormai di tutto, fuorché degli alunni (non è sempre così, per fortuna, perché c'è spazio anche per parlare di loro, uno spazio molto limitato rispetto al passato, purtroppo). Regolamenti, patti educativi, certificazioni, moduli, modelli informatici e chi più ne ha più ne metta. Un tutto che allontana sempre più dal cuore dell'insegnamento in senso stretto, per spaziare altrove, perdendo di vista ciò che è veramente importante: la relazione con gli alunni.  
Mi piace una frase che l'autore di questo libro scrive nell'ultima pagina, quella del Post Scriptum: L'ho scritto, perché più scorrono le generazioni e più mi sembra di ravvisare negli occhi dei miei alunni la disperazione di chi non trova un senso alla fatica di studiare. Che è poi un frammento della fatica decisiva di vivere.
Il libro, 200 pagine di "sfogo", si legge velocemente, grazie a uno stile semplice e diretto. Non mancano, al suo interno, alcuni contenuti per così dire "leggeri", in cui l'autore narra episodi di vita scolastica con i suoi allievi, altri che inducono a riflettere sulla fragilità dei nostri ragazzi, troppo difesi dai genitori che cercano di spianare loro la strada (qualcuno definisce i genitori moderni genitori spazzaneve), altri ancora che colgono la disperazione di alunni che vivono una solitudine interiore per i più svariati motivi.       
"Contro la scuola" è un libro adatto a tutti, ma credo che solo chi vive questa istituzione dal suo interno possa comprenderlo fino in fondo, soprattutto se crede ancora nella propria missione. 


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