lunedì 3 settembre 2018

IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO...


Io speriamo che me la cavo, come tutti sanno, è un libro che risale al 1990, scritto dal maestro elementare Marcello D'Orta nella forma di una raccolta di sessanta temi svolti da ragazzi di una scuola elementare della città di Arzano, Napoli.   
Ma in questo caso specifico, è un'espressione che oggi ho fatto mia, appena suonata la sveglia.    
Primo giorno di scuola per tutti i docenti della secondaria di primo di grado e il mio primo pensiero, dopo ben sei mesi di assenza dal lavoro, è stato proprio questo: ce la farò? Ansia e preoccupazione, alle spalle una notte praticamente insonne. Come resistere seduta ore durante il collegio docenti? Come resistere durante l'anno, in classe, con alunni super agitati da gestire? Sarò in grado di non ascoltare il dolore che mi tormenta ormai da mesi, per dare spazio al mio ruolo di insegnante, di educatrice, di collega? Saprò essere di nuovo quella che ero: attiva, dinamica, bionica (come mi definiva qualcuno), infaticabile, affidabile? Saprò esserlo? Ed è con questi pensieri che stamattina ho varcato il cancello della Vidoletti, zaino in spalla (già troppo pesante, seppur vuoto di libri, ma pieno di altre cose), con una certa trepidazione. 
(immagine da Internet)

Entrare nell'edificio mi ha fatta subito sentire a casa. E' stata una sensazione piacevole, mi è parso di essermi riappropriata di una parte della mia vita che mi era stata rubata da uno stupido (stupido?) incidente di percorso. Essere avvolta di nuovo dall'affetto dei colleghi che ormai, dopo anni (questo è il mio nono qui), rappresentano per me una seconda famiglia, mi ha infuso un senso di benessere, di appartenenza. Ecco, quello che mi è mancato in tutti questi lunghi mesi: sentirmi appartenere. Il profumo familiare della gomma dei pavimenti, il colore giallo delle pareti all'ingresso, il bancone del personale collaboratore, la macchinetta delle bevande calde che mi ha ricordato gli inverni passati, con le ore buche dedicate a bere tè bollente per scaldarmi, persino i servizi destinati alle docenti, quello con lo scarico difettoso... tutte queste cose mi hanno fatta sentire bene. 
Anche la voce del dirigente, che elencava i punti all'ordine del giorno, mi ha infuso benessere, un completo, totale senso di familiarità e appartenenza. 

Dolore. Dolore continuo in sottofondo. Il cuscino anatomico appoggiato dietro la schiena è servito ben poco. Devo farcela, voglio farcela, voglio tornare alla vita di prima, quella di sempre, voglio tornare a essere quella che ero. Ho già perso troppo tempo, ho buttato via mesi della mia vita. Li voglio riprendere tutti!        
Stamattina, un messaggio di augurio di buon anno scolastico dal mio ex collega Carlo, ormai in pensione, mi ha scaldato il cuore e mi ha profondamente commossa. Sono facile alle lacrime da un po' di tempo, lo ammetto, ma le ho controllate. Le parole di affetto e solidarietà da parte di tutti i colleghi, la loro disponibilità ad aiutarmi, Giusy, che questa mattina appena sveglia, mi ha scritto CONTA SU DI ME PER QUALUNQUE COSA. IO NON TI MOLLO.  Margherita che mi ha portato il borsone pesante fino alla macchina, Nico che mi ha detto: <<Ti prendo in braccio per fare le scale, se hai bisogno>>... E il preside: <<Ti farò avere delle sedie imbottite nelle tue classi, non preoccuparti>>...     
Come non sentirsi pieni di gioia e gratitudine, quando l'inizio è questo? E come non rispondere al dubbio "Io speriamo che me la cavo" in questo modo: CERTO, IO ME LA CAVERO'.

Grazie <3



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