sabato 29 dicembre 2012

LA LIBRERIA VERONI


Chissà se vale ancora scrivere il proprio ricordo sulla libreria Veroni...        

Navigavo in internet e ho trovato questo articolo (
«È stato come assistere al mio funerale») che  parla della sua chiusura.  

Eh, sì, io di ricordi ne ho davvero tanti e piuttosto singolari! Singolari, sì, perché io non sono stata una cliente come le altre.        
Il mio nome? Laura Veroni, nipote dei signori Aldo e Luigi, figlia di Edmondo, uno dei tre fratelli fondatori.
I miei ricordi risalgono alle origini della libreria e anche prima, quando mio padre e gli zii lavoravano nel magazzino di Via Maspero, a Giubiano, e vendevano all'ingrosso. All'epoca, ero una bambina che frequentava la scuola elementare.  
Ricordo i sabati pomeriggio trascorsi con mio padre nel grande magazzino col pavimento piastrellato di grandi mattonelle color mattone e infiniti scaffali metallici, ricolmi di libri di ogni tipo e di ogni dimensione. C'era odore di carta.
Mi piaceva giocare, in attesa della chiusura, percorrendo i corridoi, fino in fondo allo stabile, che terminavano sempre nella penombra, laddove le luci al neon non venivano praticamente quasi mai accese. Facevo finta di essere una commessa e giocavo a vendere i libri. Immaginavo i clienti che venivano a chiedere consigli su quale libro acquistare e io leggevo la trama sul retro, per poi esporne il contenuto.     
A volte, mio padre mi consentiva di entrare in ufficio, dove, alla scrivania, c'era la segretaria (Pinuccia) che si occupava della contabilità. Quando non aveva troppo lavoro, mi faceva giocare con la calcolatrice e con la macchina da scrivere (mica c'erano i computer, come oggi!). Mi affascinava quel mondo fatto di carta e pensavo che da grande avrei fatto la segretaria personale di mio padre e la commessa nel suo magazzino.
Poi, sorpresa delle sorprese, l'apertura della Libreria in Piazza Giovine Italia. Una sola parola per definirla: BELLISSIMA. Posizione centrale, dietro corso Matteotti, elegante e sobria nello stesso tempo: moquette sul pavimento, un grande banco centrale all'ingresso, scaffali eleganti (non metallici e freddi come quelli del magazzino), una vetrina bene allestita. La scolastica al piano di sotto, l'ufficio del babbo e degli zii in una stanza in fondo al piano principale. Un ufficio bello, con quadri alle pareti e fotografie di noi figlie. Non ricordo la mia, però. Ricordo invece le foto delle mie cugine, Gabriella e Antonella, vestite da ballerine di danza classica.
Non ero più una bambina, ma un'adolescente con tanti sogni in testa, che non aspirava più a fare la commessa o la segretaria del babbo, piuttosto la scrittrice. 
Immaginavo i miei libri esposti in vetrina e sugli scaffali.        
Passavo a far visita a mio padre (come se non lo vedessi abbastanza!), ogni volta che andavo in centro con le amiche. Era bello entrare e sentirsi a casa.        
"Ciao, ciao, ciao..." Salutavo tutti i commessi e le commesse, da Luisa a Marcello, da Anna 1 ad Anna 2, a Giuseppe, a Daniela, a Donatella, a Monica, a Lorella, a Roberto, a Marta, a Max... un bacio a mia cugina Antonella e poi in cerca del babbo, per sottrarlo ai clienti, ai conti, alle carte, e andare con lui a bere il caffè al bar del Pirola, il nostro appuntamento fisso del sabato pomeriggio. Poi lo riaccompagnavo in libreria, bacio all'ingresso, un saluto a tutti e "Ci vediamo più tardi a casa!".
Il momento in cui mi "divertivo" di più era quando arrivava Settembre e mi recavo in negozio a ritirare i libri per la scuola. C'era una coda infinita e io passavo davanti a tutti, che mi guardavano male, come a dire Ma guarda questa che arriva adesso e pensa di poter saltare la fila! Andavo dietro al bancone, nella zona riservata, ritiravo i libri, che mio padre aveva messo da parte, e uscivo col mio pacco sotto braccio.
Quando venne spostata in via Robbioni, non suscitò grande entusiasmo. Si pensava che la zona, non più centrale, avrebbe fatto calare le vendite e richiamato meno clienti, però era sulla via delle scuole e questo era un vantaggio, sicuramente nel periodo di Settembre/Ottobre. La clientela fissa e gli affezionati rimasero e continuarono a frequentarla anche lì. Fino al triste momento della chiusura, quella da mio zio definita il suo funerale.
Per me, la libreria Veroni è stata un po' una seconda casa, un luogo di affetti e di amicizie. Anch'io, quando mi capita di passarci davanti, provo un po' di tristezza nel vedere i locali vuoti, le vetrine spoglie e impolverate. Ma, se guardo attentamente, attraverso la polvere, posso ancora immaginare e sentir palpitare i ricordi di quel tempo passato che oramai non c'è più.

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