28/09/2007
TORNA ALLA RIBALTA IL CASO DI DESIREE PIOVANELLI...
Per il delitto della 14enne di Leno in galera 3 minori e un adulto
Al ragazzo erano stati inflitti 10 anni, ora è in riabilitazione
Desirée, condannato per omicidio
dopo due anni lascia il carcere
Contro la sentenza d'appello si pronuncerà la Cassazione (da La Repubblica.it)
Al ragazzo erano stati inflitti 10 anni, ora è in riabilitazione
Desirée, condannato per omicidio
dopo due anni lascia il carcere
Contro la sentenza d'appello si pronuncerà la Cassazione (da La Repubblica.it)
28 settembre 2002
Non sono uno psichiatra. Non sono uno psicologo. Non sono un criminologo. Non sono nemmeno un assistente sociale né un investigatore e neanche un sacerdote. Non sono sindaco di nessun paese e non sono un politico. Sono soltanto un essere umano. E mi interrogo.
Ancora… ancora uno scempio: un altro essere umano
PROFANATO.
Che cosa avete fatto?
Che cosa avete fatto?
Non sono una fanatica religiosa. Non sono un’integralista: sono solo una donna, una madre, un’anima rivestita della sembianza di un genere al quale, in momenti come questo, mi vergogno di appartenere: il genere umano.
Non credo nella reincarnazione, non solo perché la mia
fede sostiene che non esiste (c’è piuttosto la risurrezione dei morti e la vita
del mondo che verrà, amen), ma soprattutto perché mi peserebbe enormemente
vivere di nuovo. Ma se mai dovessi tornare in questo mondo, allora chiederei a
Dio di crearmi aria, di crearmi cielo, di crearmi sole e acqua e terra e fiore
e farfalla e animale… non più UOMO.
Basta nasconderci dietro parole! E’ ora di farla
finita!!! Guardiamoci in faccia e smettiamola di giustificare. Smettiamola
di trovare scusanti: NON CE NE SONO! NON CE NE SONO!!!
Una donna, intervistata da un inviato del TG5, ha
pronunciato una frase, a parer mio, poco DIGNITOSA e addirittura offensiva
della morale: “Non riesco a vedere quei ragazzi come assassini. Conosco le loro
famiglie e proprio non me la sento di definirli assassini. “
COME SAREBBE A DIRE “NON ME LA SENTO DI DEFINIRLI
ASSASSINI”? Che cosa sarebbero, allora? Dei bravi ragazzi? Avanti, coraggio!
Abbiamo il coraggio di dire le cose come stanno: URLIAMO A SQUARCIAGOLA QUELLO
CHE SONO VERAMENTE: ASSASSINI, macellai di umanità.
Perché è solo questo che sono.
E piantiamola di dire che sono vittime anch’essi,
vittime di questa società, di questo mondo senza valori, di questa cultura del
consumismo… Sono tutte parole vuote, inutili, vane, perché qui c’è una sola
vittima: Desirèe. Gli altri sono solo CARNEFICI. Basta dire è colpa della
società: la società siamo noi! Dire è colpa della società equivale a lavarsene
le mani e a dire IO NON C’ENTRO. Non è così: siamo tutti responsabili.
Mi calmo, dopo questo sfogo, e più lucida rifletto…
Ho colpa anch’io. Se Desirèe è morta in quel modo,
sarà anche colpa mia. Mia, sì. Mia, che vivo a distanza di chilometri da dove
viveva lei. Mia che prima di una settimana fa nemmeno avevo mai sentito
pronunciare il suo nome. Mia in quanto persona che non ha fatto niente per
evitare che questo accadesse.
E che cosa potevo fare io? E’ proprio questo il punto.
E’ ora che ognuno di noi cominci a chiederselo e che cerchi dentro di sé la
risposta.
Si fa presto a parlare…Già…
Ma che cosa ci sta succedendo? Ci guardiamo allo
specchio? Che cosa vediamo? Gli esperti dicono che il RECUPERO deve venire da
famiglia e scuola. Siamo tutti d’accordo: sono le prime istituzioni, le prime
fonti di educazione e di formazione dell’individuo.
Ma diteci IN CONCRETO che cosa DOBBIAMO fare! Parlare
di più con i nostri figli a casa? Va bene: troveremo il TEMPO e il MODO per FARLO.
Il tempo, sì…quello che sempre ci manca. E, anche
avendolo, facciamo fatica a dialogare con i nostri figli, specialmente quando
arrivano a una certa età, quella critica dell’adolescenza. Nemmeno io parlo
molto con i miei figli: trovo sempre qualcos’altro da fare. C’è sempre qualcosa
di più importante da fare… Ecco il punto: CI SIAMO DIMENTICATI CHE NON C’E’
NIENTE DI PIU’ IMPORTANTE, NIENTE DI PIU’ URGENTE DEI NOSTRI FIGLI E DELLE
PERSONE!!!
Devo lavorare: non ho tempo di darti retta adesso.
Devo stirare, devo lavare i piatti, devo uscire, devo fare la spesa, devo
telefonare, devo… DEVO DEVO DEVO…. Dopo: ti ascolto dopo. DOPO DOPO DOPO…. E
mettiamo da parte quel piccolo grido di aiuto soffocato, ingoiato, rimandato
indietro nella disperazione dei nostri figli, che si scoprono SOLI.
Mia figlia fa i capricci: vuole che la prenda in
braccio. Mi innervosisco: sto lavando i piatti, non vede? Ho da fare, non
capisce?… E invece sono io che non vedo, sono io che non capisco che LEI
HA BISOGNO DI ME ADESSO!!! E la rimando indietro, chiudo la porta del contatto:
e lei chiude la bocca dell’anima e inizia a non parlarmi più. E’ così che vanno
le cose. E’ così che le lasciamo andare, perché è più facile per noi. Perché
cerchiamo solo le cose facili. Chi ce lo fa fare di complicarci la vita? Mio
figlio ha dei problemi? E’ più semplice far finta di non vedere che ammettere
la verità e dover mettere in moto il cervello per cercare la soluzione al
problema. E, intanto, il problema cresce e si sviluppa, anzi: si INVILUPPA!
Per tutte le volte che non ho prestato attenzione a
uno dei miei figli, per tutte le volte che ho rimandato di parlare con loro,
per tutte le volte che ho detto loro NON HO TEMPO, per tutte quelle volte sono
colpevole anch’io. Per tutte quelle volte, ho contribuito anch’io ad uccidere
Desirèe.
L’adolescenza ha sempre segnato la ROTTURA/FRATTURA
tra genitori e figli. Così era, così è e così sarà. Siamo genitori che sono
stati figli in lotta con i propri, ma che da quella lotta non hanno imparato
niente, perché oggi NON capiamo le battaglie che i nostri figli combattono
contro di noi e, soprattutto, non sappiamo con quali ARMI combatterle a nostra
volta oppure difenderci da loro. Ma perché, mi domando? Il rapporto
genitori/figli non può essere “incruento”? Dobbiamo necessariamente “armarci”?
E se le armi fossero la PAZIENZA, L’ASCOLTO, LA DISPONIBILITA’, LA COMPRENSIONE,
LA DEDIZIONE, IL SACRIFICIO DI SE’? Non ci sarebbe bisogno di fare la guerra.
Vorrei essere capace di entrare nella testa dei miei
figli, vorrei conquistare la loro fiducia (e meritarmela!), vorrei essere
capace di entrare nella testa dei miei alunni (già, sono madre e sono
insegnante: ho una duplice responsabilità verso la società: formare i miei
figli e quelli degli altri).
E vi giuro che mi sforzo di farlo. Io cerco di capire
i miei giovani alunni, cerco di essere vicina a loro come se fossi una di loro
(solo con qualche anno in più e con tanta esperienza di vita in più) e cerco di
amarli come miei figli. Ma non so se questo basta e non so se ci riesco
veramente. Soprattutto, non so se quello che faccio lascia un segno
incancellabile in loro o è destinato a svanire, perché nessun altro porta
avanti quello che io ho iniziato. Cinque mattine e un pomeriggio trascorsi con
loro, ma poi, al suono dell’ultima campanella, tornano a casa e io non ci sono
più. C’è la famiglia (quando c’è), ci sono gli amici, ci sono le altre persone
e le altre realtà. A volte mi rendo conto che dedico più tempo ai miei alunni
che ai miei figli: a scuola sono “costretta” ad essere concretamente presente
(sono lì per quello)a casa no (eppure è il luogo più importante).
A scuola, lascio molto spazio ai ragazzi: parliamo
molto. Trovo il dialogo uno strumento necessario alla loro formazione e, a
volte, “sacrifico” i tempi della didattica, per lasciare spazio al dialogo.
Parliamo di tutto: di scuola, di fatti di cronaca, di loro, della loro vita,
delle loro esperienze e persino delle mie. Ho la fortuna di insegnare lettere,
una materia che si presta a questo tipo di discussioni e che mi permette di
stare a contatto con gli alunni più di ogni altro docente. Mi rendo conto della
responsabilità che ho nei loro confronti. Spesso noi docenti ci troviamo a
dover svolgere anche il ruolo di genitori e di assistenti sociali. Mi rivolgo a
voi esperti, che parlate al TG: dateci gli strumenti necessari a crescere delle
MELE SANE! Dateceli anche come genitori. Aiutateci! Perché non venite nelle
nostre scuole a parlare con noi e con i nostri ragazzi? (So che in qualche
scuola c’è la presenza dello sportello psicologico, ma non è questo che
intendo) Dateci un aiuto concreto! E se un giorno fosse mio figlio ad uccidere
qualcuno? Se fosse mia figlia ad essere uccisa? Se fosse uno dei miei alunni a
commettere o a subire una simile brutalità?
Facciamo in modo che tutta questa violenza abbia fine.
Aiutateci, per questo.
Laura Veroni
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