Ci sono volte
che è non solo lecito, ma addirittura DOVEROSO scandalizzarsi davanti a certe
affermazioni o a certe richieste o a quant'altro. Ci sono volte in cui non si
può fare finta di niente e dire tra sé MA SI', CHE ME NE IMPORTA? TANTO QUEL
CHE CONTA E' QUELLO CHE SENTO DENTRO DI ME. NON C'E' BISOGNO CHE LO ESTERNI. E
invece no: parliamone. Parliamo, sì, perchè siamo EDUCATORI, educatori
dei nostri figli e, in veste di insegnanti, anche di quelli degli altri. Ed è
per questo che quella mattina, mi sono presentata a scuola con il giornale
sotto il braccio e, sedendomi in cattedra, ho detto ai miei ragazzi NO, NON
APRITE I LIBRI E NON PRENDETE I QUADERNI: OGGI NIENTE GRAMMATICA: SI LEGGE IL
GIORNALE. DOVETE SOLO ASCOLTARE SENZA INTERROMPERE, POI, ALLA FINE, POTRETE
DIRE TUTTO QUELLO CHE VOLETE. PERCHE', SONO SICURA CHE ANCHE VOI AVETE
UN'OPINIONE IN PROPOSITO. E ho dato inizio alla lettura inerente i fatti di
Ofena.
Al termine, ho domandato chi di loro fosse a conoscenza di quello che era accaduto e se voleva parlarne. Diversi ragazzi sono intervenuti, raccontando gli eventi come li avevano sentiti al telegiornale o dai genitori o, più facilmente, a "STRISCIA". La discussione si faceva via via sempre più accesa, ognuno esprimeva le proprie idee, ma l'idea di fondo era per tutti la stessa: GLI STRANIERI NON HANNO IL DIRITTO DI VENIRE QUI DA NOI E IMPORCI DI FARE QUELLO CHE DICONO LORO. I termini della discussione erano spesso duri, del tipo MA CHE SE NE STIANO A CASA LORO! CHE COSA VENGONO A FARE QUI, SE POI NON ACCETTANO LE NOSTRE LEGGI E NON RISPETTANO LA NOSTRA RELIGIONE... e via dicendo.
Una sola ragazza taceva: mi guardava e taceva, visibilmente scossa.
"Sentiamo che cosa ne pensa M. di questa storia?"
M. è una ragazza islamica. Nessuno dei compagni si era preoccupato di poter ferire la sua sensibilità con le proprie affermazioni. Interpellata, faticava ad esprimere un'opinione, visibilmente a disagio, in quanto decisamente in minoranza.
"A te dà fastidio il crocifisso appeso alla parete?" Le ho chiesto. Non ha risposto verbalmente, ma con uno sguardo che stava a significare NON SAPREI.
"Parlaci della tua storia, M." L'ho invitata a intervenire. "Raccontaci come mai la tua famiglia si è trasferita qui."
E M. ha iniziato timidamente il proprio racconto.
Volevo che i compagni comprendessero quali drammi, quali difficoltà, quali dolori possono nascondersi spesso dietro a scelte radicali, come quella di abbandonare la propria terra, i propri affetti, la propria casa e le proprie cose per andare in cerca di una vita più dignitosa, più sicura e più serena, nonostante tutto.
La nostra scuola accoglie alcuni alunni provenienti da paesi lontani (Africa, Sudamerica, Macedonia, Bielorussia, per citarne solo alcuni). Li vediamo arrivare spaesati, viviamo con loro il disagio di non sentirsi pienamente accettati, percepiamo la diffidenza dei compagni nei loro confronti e viviamo con loro le enormi difficoltà di comunicare con noi (almeno inizialmente) a causa delle diversità linguistiche.
Ci vogliono tempo e fatica prima che si arrivi a comprendersi. E certamente è molto più semplice per noi che per loro.
Qualcuno arriva qui che già parla l'italiano, ma la maggior parte no. E c'è chi non lo parla e nemmeno lo comprende.
Risulta complicato adeguarsi gli uni agli altri, ma è bene che ognuno abbia ben chiara una NORMA MORALE FONDAMENTALE, il primo mattone, per costruire una convivenza pacifica e tollerante: il RISPETTO DELL'ALTRO nella sua TOTALITA' e nella sua DIVERSITA'.
E ritengo che questo valga per ambo le parti: vale per me che ti ospito e vale per te che sei ospitato.
Estendendo il discorso a un ambito più vasto rispetto a quello scolastico, vale per tutti in ogni società che voglia dirsi CIVILE: io che ti ospito rispetto te, la tua cultura, le tue idee e non farò nulla per far sì che tu le rinneghi né per importi le mie; ma anche tu che sei mio ospite sei tenuto a rispettare me, le mie idee e la mia cultura e a non impormi le tue né pretendere che io rinneghi le mie.
Quindi, tornando al crocifisso da cui siamo partiti, personalmente non trovo giusto che il signor Smith, presidente dei musulmani d'Italia, pretenda che il crocifisso venga abolito dalle scuole e ci ponga in condizione di dover rinnegare noi stessi, la nostra civiltà e la nostra religione: non ne ha alcun diritto. Sarebbe come dire che il presidente dei cattolici di un paese islamico pretendesse di fare abolire i simboli di quella religione, perché gli danno fastidio. A nessun ospite, con un minimo di educazione, verrebbe in mente di chiedere al padrone di casa, che l'ha invitato a cena, di togliere dalla parete un quadro perché non gli garba. E' meglio, allora, non impegnarsi ad educare i nostri ragazzi all'uguaglianza, che alla fine sfocia nel trionfo della prepotenza, perché, infondo, NON E' VERO CHE SIAMO TUTTI UGUALI: SIAMO, invece, profondamente diversi gli uni dagli altri. Educhiamoli, piuttosto, alla TOLLERANZA della DIVERSITA' e forse avremo qualche speranza in più di costruire una società futura più pacifica.
Al termine, ho domandato chi di loro fosse a conoscenza di quello che era accaduto e se voleva parlarne. Diversi ragazzi sono intervenuti, raccontando gli eventi come li avevano sentiti al telegiornale o dai genitori o, più facilmente, a "STRISCIA". La discussione si faceva via via sempre più accesa, ognuno esprimeva le proprie idee, ma l'idea di fondo era per tutti la stessa: GLI STRANIERI NON HANNO IL DIRITTO DI VENIRE QUI DA NOI E IMPORCI DI FARE QUELLO CHE DICONO LORO. I termini della discussione erano spesso duri, del tipo MA CHE SE NE STIANO A CASA LORO! CHE COSA VENGONO A FARE QUI, SE POI NON ACCETTANO LE NOSTRE LEGGI E NON RISPETTANO LA NOSTRA RELIGIONE... e via dicendo.
Una sola ragazza taceva: mi guardava e taceva, visibilmente scossa.
"Sentiamo che cosa ne pensa M. di questa storia?"
M. è una ragazza islamica. Nessuno dei compagni si era preoccupato di poter ferire la sua sensibilità con le proprie affermazioni. Interpellata, faticava ad esprimere un'opinione, visibilmente a disagio, in quanto decisamente in minoranza.
"A te dà fastidio il crocifisso appeso alla parete?" Le ho chiesto. Non ha risposto verbalmente, ma con uno sguardo che stava a significare NON SAPREI.
"Parlaci della tua storia, M." L'ho invitata a intervenire. "Raccontaci come mai la tua famiglia si è trasferita qui."
E M. ha iniziato timidamente il proprio racconto.
Volevo che i compagni comprendessero quali drammi, quali difficoltà, quali dolori possono nascondersi spesso dietro a scelte radicali, come quella di abbandonare la propria terra, i propri affetti, la propria casa e le proprie cose per andare in cerca di una vita più dignitosa, più sicura e più serena, nonostante tutto.
La nostra scuola accoglie alcuni alunni provenienti da paesi lontani (Africa, Sudamerica, Macedonia, Bielorussia, per citarne solo alcuni). Li vediamo arrivare spaesati, viviamo con loro il disagio di non sentirsi pienamente accettati, percepiamo la diffidenza dei compagni nei loro confronti e viviamo con loro le enormi difficoltà di comunicare con noi (almeno inizialmente) a causa delle diversità linguistiche.
Ci vogliono tempo e fatica prima che si arrivi a comprendersi. E certamente è molto più semplice per noi che per loro.
Qualcuno arriva qui che già parla l'italiano, ma la maggior parte no. E c'è chi non lo parla e nemmeno lo comprende.
Risulta complicato adeguarsi gli uni agli altri, ma è bene che ognuno abbia ben chiara una NORMA MORALE FONDAMENTALE, il primo mattone, per costruire una convivenza pacifica e tollerante: il RISPETTO DELL'ALTRO nella sua TOTALITA' e nella sua DIVERSITA'.
E ritengo che questo valga per ambo le parti: vale per me che ti ospito e vale per te che sei ospitato.
Estendendo il discorso a un ambito più vasto rispetto a quello scolastico, vale per tutti in ogni società che voglia dirsi CIVILE: io che ti ospito rispetto te, la tua cultura, le tue idee e non farò nulla per far sì che tu le rinneghi né per importi le mie; ma anche tu che sei mio ospite sei tenuto a rispettare me, le mie idee e la mia cultura e a non impormi le tue né pretendere che io rinneghi le mie.
Quindi, tornando al crocifisso da cui siamo partiti, personalmente non trovo giusto che il signor Smith, presidente dei musulmani d'Italia, pretenda che il crocifisso venga abolito dalle scuole e ci ponga in condizione di dover rinnegare noi stessi, la nostra civiltà e la nostra religione: non ne ha alcun diritto. Sarebbe come dire che il presidente dei cattolici di un paese islamico pretendesse di fare abolire i simboli di quella religione, perché gli danno fastidio. A nessun ospite, con un minimo di educazione, verrebbe in mente di chiedere al padrone di casa, che l'ha invitato a cena, di togliere dalla parete un quadro perché non gli garba. E' meglio, allora, non impegnarsi ad educare i nostri ragazzi all'uguaglianza, che alla fine sfocia nel trionfo della prepotenza, perché, infondo, NON E' VERO CHE SIAMO TUTTI UGUALI: SIAMO, invece, profondamente diversi gli uni dagli altri. Educhiamoli, piuttosto, alla TOLLERANZA della DIVERSITA' e forse avremo qualche speranza in più di costruire una società futura più pacifica.
Laura Veroni
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