Ogni mattina,
entriamo in classe e ci troviamo di fronte ad un nutrito numero di ragazzi che
ci scrutano. Ci sediamo in cattedra e cominciamo la nostra lezione.
A volte capita
(a me capita spesso, devo ammetterlo) di perdere un po’ di tempo, oltre alla
compilazione del registro con i nominativi degli assenti, il controllo delle
firme agli avvisi e quant’altro, a chiacchierare con loro. Per esempio, io
spesso esordisco con un “Buongiorno, come state oggi?”. Qualche volta, mi
capita di chiederlo solo ad alcuni, magari a quelli che so che il giorno prima
avevano un “appuntamento” importante, vuoi scolastico (interrogazione o
verifica di altra disciplina), vuoi personale, a volte mi rivolgo alla classe
intera. Non mi piace iniziare dicendo subito “Apriamo il libro alla pagina tot”
Oppure “Oggi interroghiamo Tizio” e via dicendo. Mi sembra un approccio troppo
freddo e impersonale. Preferisco “buttar via” i primi dieci minuti a
chiacchierare con i miei ragazzi delle loro cose, prima di affrontare argomenti
seri e… noiosi? Beh, dipende dal punto di vista. Per la maggioranza di loro sì,
visto che preferiscono distrarsi e chiacchierare d’altro.
Ma quando la lezione comincia, voglio che ci siano silenzio ed attenzione.
Non è sempre facile ottenerli, però… I ragazzi sono spesso agitati, distratti, impegnati nel rincorrere i loro pensieri di crescita e di libertà. I loro corpi sono lì, davanti a noi, ma quante volte le loro teste vagano altrove! “Ehi, dico a te! Dove sei in questo momento?”. “Qui, prof! Perché?” “Non mi sembrava proprio… a che cosa stai pensando di così interessante?” “A niente”. Mai qualcuno che abbia il coraggio di dire la verità: pensavo alla play station oppure alla mia ragazza o a quando andrò all’oratorio a giocare a pallone con i miei amici…
“E voi due, che cosa avete di così importante da comunicarvi, che non possa essere fatto dopo? Volete farci partecipi?”. Accipicchia, nessuno vuole mai! E va bene, riprendiamo la lezione…
Ma chissà quante cose frullano per tutte quelle teste, nell’arco di una mattinata!
Non è facile catturare l’attenzione di tutti, ma, soprattutto, non è facile catturare l’interesse. A noi docenti piacerebbe avere in classe dei soldatini sull’attenti, con lo sguardo fisso su di noi, le orecchie bene aperte e il cervello connesso sei ore di fila! Ah, la classe ideale! Com’è facile amarli, quando sono così! Chissà perché, invece, ci troviamo davanti un gruppo di casinisti che, per la maggior parte, non ha alcuna voglia di stare a sentire quello che abbiamo da dire, da raccontare, da spiegare!
Che duro mestiere quello dell’insegnante!
Ma abbiamo provato a pensare a che duro mestiere sia anche quello dello studente? E quello dello studente “forzato”, quello che viene a scuola solo perché costretto a farlo? Sei ore seduto nello stesso banco (d’accordo concediamo l’uscita al bagno ogni tot, per chi proprio non ce la fa a rimanere al proprio posto per più di un’ora di seguito, concediamone anche una ogni tot tot) ad ascoltare spiegazioni su spiegazioni…
A volte c’è da chiedersi come si faccia…
Rovesciamo la frittata, invertiamo i ruoli. Diversa situazione: corso di aggiornamento pesante e noioso. Quanti di noi adulti riescono a stare fermi, zitti e concentrati per più di un’ora? Però lo pretendiamo dai nostri alunni! Ci sono dentro anch’io, sia ben chiaro!
Forse dovremmo essere più comprensivi e cercare dei meccanismi per sbloccare l’interesse, per stimolarlo, anziché ostinarci sulla nostra posizione e pretendere ciò che chi abbiamo davanti non è in grado di dare. Non è facile, però. Quante volte io stessa ho preferito “arrabbiarmi” con l’alunno e tagliar corto, magari mettendogli una nota, piuttosto che sforzarmi di “incontrarlo”! E’ molto più semplice ed è meno faticoso nascondersi dietro il proprio ruolo, per approcciarsi alla loro realtà, piuttosto che affrontare questa realtà come persone. Ma che perdita! Io prof, tu alunno. Io dietro la cattedra, tu dall’altra parte della barricata. Io comando, tu esegui. Io impongo, tu fai. Ma quale ricchezza umana ci stiamo perdendo così? Abbiamo mai provato ad incontrare i nostri alunni come persone, a parlare con loro di se stessi e, perché no, anche di noi? Abbiamo provato ad ascoltarli davvero? Li conosciamo veramente, sappiamo chi sono? Io dico di no. Così come non possono sapere chi siamo noi veramente, se non ci apriamo a loro. Eppure non lo facciamo quasi mai. Perché? Ruolo? Etichetta? Gioco delle parti? A me piace, di tanto in tanto, abbattere il muro. Forse dovrei farlo più spesso: potrei scoprire che la persona che ho davanti è molto più di quello che appare, ha molto più da darmi, di quanto io sia disposta a ricevere ed io stessa potrei dare molto di più.
Vi è mai capitato di trovarvi per caso a parlare con uno dei vostri ragazzi? Magari uno dei più discoli, uno dei più pesanti da sopportare? E scoprire la sua solitudine interiore, il suo bisogno di essere ascoltato, capito, amato?
A volte mi piacerebbe portarmeli tutti a casa i miei ragazzi, mangiare insieme, condividere le cose banali di tutti i giorni, parlare del più e del meno, entrare nelle loro vite in punta di piedi, senza dare fastidio, lasciandomi accogliere!
Mettersi in gioco, questo è il punto. Scoprire le carte, mostrarsi umani e vulnerabili. Magari potremmo acquisire più forza proprio per questo e proprio grazie a loro e loro grazie a noi.
Gli “Stadio” cantavano: Stabiliamo un contatto, ma facciamolo adesso, prima che sia troppo tardi, prima che passino gli anni a cambiarci…
Ma quando la lezione comincia, voglio che ci siano silenzio ed attenzione.
Non è sempre facile ottenerli, però… I ragazzi sono spesso agitati, distratti, impegnati nel rincorrere i loro pensieri di crescita e di libertà. I loro corpi sono lì, davanti a noi, ma quante volte le loro teste vagano altrove! “Ehi, dico a te! Dove sei in questo momento?”. “Qui, prof! Perché?” “Non mi sembrava proprio… a che cosa stai pensando di così interessante?” “A niente”. Mai qualcuno che abbia il coraggio di dire la verità: pensavo alla play station oppure alla mia ragazza o a quando andrò all’oratorio a giocare a pallone con i miei amici…
“E voi due, che cosa avete di così importante da comunicarvi, che non possa essere fatto dopo? Volete farci partecipi?”. Accipicchia, nessuno vuole mai! E va bene, riprendiamo la lezione…
Ma chissà quante cose frullano per tutte quelle teste, nell’arco di una mattinata!
Non è facile catturare l’attenzione di tutti, ma, soprattutto, non è facile catturare l’interesse. A noi docenti piacerebbe avere in classe dei soldatini sull’attenti, con lo sguardo fisso su di noi, le orecchie bene aperte e il cervello connesso sei ore di fila! Ah, la classe ideale! Com’è facile amarli, quando sono così! Chissà perché, invece, ci troviamo davanti un gruppo di casinisti che, per la maggior parte, non ha alcuna voglia di stare a sentire quello che abbiamo da dire, da raccontare, da spiegare!
Che duro mestiere quello dell’insegnante!
Ma abbiamo provato a pensare a che duro mestiere sia anche quello dello studente? E quello dello studente “forzato”, quello che viene a scuola solo perché costretto a farlo? Sei ore seduto nello stesso banco (d’accordo concediamo l’uscita al bagno ogni tot, per chi proprio non ce la fa a rimanere al proprio posto per più di un’ora di seguito, concediamone anche una ogni tot tot) ad ascoltare spiegazioni su spiegazioni…
A volte c’è da chiedersi come si faccia…
Rovesciamo la frittata, invertiamo i ruoli. Diversa situazione: corso di aggiornamento pesante e noioso. Quanti di noi adulti riescono a stare fermi, zitti e concentrati per più di un’ora? Però lo pretendiamo dai nostri alunni! Ci sono dentro anch’io, sia ben chiaro!
Forse dovremmo essere più comprensivi e cercare dei meccanismi per sbloccare l’interesse, per stimolarlo, anziché ostinarci sulla nostra posizione e pretendere ciò che chi abbiamo davanti non è in grado di dare. Non è facile, però. Quante volte io stessa ho preferito “arrabbiarmi” con l’alunno e tagliar corto, magari mettendogli una nota, piuttosto che sforzarmi di “incontrarlo”! E’ molto più semplice ed è meno faticoso nascondersi dietro il proprio ruolo, per approcciarsi alla loro realtà, piuttosto che affrontare questa realtà come persone. Ma che perdita! Io prof, tu alunno. Io dietro la cattedra, tu dall’altra parte della barricata. Io comando, tu esegui. Io impongo, tu fai. Ma quale ricchezza umana ci stiamo perdendo così? Abbiamo mai provato ad incontrare i nostri alunni come persone, a parlare con loro di se stessi e, perché no, anche di noi? Abbiamo provato ad ascoltarli davvero? Li conosciamo veramente, sappiamo chi sono? Io dico di no. Così come non possono sapere chi siamo noi veramente, se non ci apriamo a loro. Eppure non lo facciamo quasi mai. Perché? Ruolo? Etichetta? Gioco delle parti? A me piace, di tanto in tanto, abbattere il muro. Forse dovrei farlo più spesso: potrei scoprire che la persona che ho davanti è molto più di quello che appare, ha molto più da darmi, di quanto io sia disposta a ricevere ed io stessa potrei dare molto di più.
Vi è mai capitato di trovarvi per caso a parlare con uno dei vostri ragazzi? Magari uno dei più discoli, uno dei più pesanti da sopportare? E scoprire la sua solitudine interiore, il suo bisogno di essere ascoltato, capito, amato?
A volte mi piacerebbe portarmeli tutti a casa i miei ragazzi, mangiare insieme, condividere le cose banali di tutti i giorni, parlare del più e del meno, entrare nelle loro vite in punta di piedi, senza dare fastidio, lasciandomi accogliere!
Mettersi in gioco, questo è il punto. Scoprire le carte, mostrarsi umani e vulnerabili. Magari potremmo acquisire più forza proprio per questo e proprio grazie a loro e loro grazie a noi.
Gli “Stadio” cantavano: Stabiliamo un contatto, ma facciamolo adesso, prima che sia troppo tardi, prima che passino gli anni a cambiarci…
Io credo che
prima di pretendere che i nostri ragazzi ci ascoltino, dovremmo noi adulti
imparare ad ascoltarli. Troppo spesso, invece, ascoltiamo solo la nostra voce.
Laura Veroni
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